Mario Baldassarri, economista ed ex viceministro dell’Economia, spiega come le tabelline possano essere uno strumento chiaro e trasparente, applicandole al problema dei ristori alle imprese. Il governo Draghi ha per ora dato attuazione allo scostamento di bilancio deciso durante l’esecutivo di Conte, ma ha introdotto una importante discontinuità abolendo i codici Ateco e quindi estendendo molto la platea degli aventi diritto
Luigi Einaudi diceva “conoscere per decidere”. Ma per conoscere occorre capire. Le tabelline sono lo strumento più potente per capire e per conoscere.
Applichiamolo al problema dei ristori alle imprese, con una constatazione assolutamente banale ma fortemente esplicativa: il 100% di 1 fa 1, l’1% di 100 fa sempre 1. Si capisce allora che ciò che conta è la base di riferimento e la percentuale che si applica su questa base.
A maggio dell’anno scorso il governo Conte ha fatto il decreto rilancio nel quale ha deciso un primo ristoro alle imprese. Ha preso come base di riferimento il fatturato del mese di aprile 2020 e lo ha posto a confronto con il fatturato del mese di aprile 2019. Se questa differenza era superiore al 33% si aveva diritto al ristoro, al di sotto nisba! Qui si è subito posto il classico problema delle soglie secche. Chi aveva perso il 33% aveva diritto, chi aveva perso il 32% no!!
Dopodiché, su questa base riferita al solo mese di aprile, si è applicata una percentuale del 20% per le imprese con fatturato annuo inferiore a 400.000 euro e percentuali minori per fatturati annui superiori fino ad un massimo di 5 milioni di fatturato.
Qui si pone un secondo effetto “soglia”.
Ma il problema mistificante fin da questo primo decreto è il fatto che ci si è riferiti ai dati di un solo mese mentre le imprese stavano subendo perdite di fatturati tutti i mesi. Ecco allora la potenza delle tabelline.
Se l’impresa riceve un ristoro del 20% della perdita di fatturato di un solo mese, laddove la perdita si subisce per 12 mesi, la misura del ristoro è pari al 20% diviso 12, cioè l’1,7% della perdita annua di fatturato!
Il governo Draghi ha invece riferito il calcolo della perdita a tutto l’anno 2020 posto a confronto con tutto l’anno 2019. Bene, ma il giochetto aritmetico è stato poi quello di calcolare il ristoro non in base alla perdita annuale bensì alla media mensile. Su questa media mensile ha poi applicato un ristoro pari al 60%. Ma anche qui l‘impresa ha subito la perdita per dodici mesi e non per un solo mese, seppur calcolato come media dei dodici mesi dell’anno.
Ancora una volta la potenza delle tabelline!
Il 60% di ristoro sulla media mensile di un anno è pari al 5% della perdita subita in un intero anno. Anche qui basta fare 60% diviso 12. Infatti il ristoro è stato pari al 5% della perdita di fatturato subita in un intero anno.
Come noto questo 5% di ristoro è costato allo Stato 12 miliardi di euro. Pertanto se si volesse dare il 10% ci vorrebbero 24 miliardi, con il 20% ci vorrebbero 48 miliardi.
Il governo Draghi ha per ora dato attuazione allo scostamento di bilancio deciso durante il governo Conte e pertanto quelli erano i limiti di risorse disponibili (12 miliardi per i ristori su un totale di 32 miliardi).
Ha però introdotto una importante discontinuità abolendo i codici Ateco e quindi estendendo molto la platea degli aventi diritto.
Lo stesso presidente del Consiglio ha subito annunciato che procederà a un nuovo scostamento di bilancio in sede di definizione del Def di questo mese di aprile 2021. Qui però occorre introdurre qualche altro numero rispetto al solo fatturato.
Diciamo ad esempio che in media le imprese hanno costi fissi pari al 30% del fatturato, costi del personale del 20%, acquisti di materie prime pari al 30% e ciò che resta, è l’utile di impresa pari al 20%.
Sul costo del personale è intervenuta la Cassa integrazione. Sugli acquisti di materie prime, se l’attività è stata ferma, si presume che questi costi si siano ridotti fortemente se non totalmente azzerati (visto gli sprechi causati da riaperture e richiusure a singhiozzo).
Restano i costi fissi ed il mancato utile. Se si ristorassero questi costerebbe 120 miliardi di euro. Se dovessimo recuperare soltanto i costi fissi del 30% il costo sarebbe “soltanto” 72 miliardi di euro (12 miliardi per il 5%= 72 miliardi per il 30%)!
Se ci si limitasse a 20-30 miliardi, anche se la cifra sembrerebbe enorme, sarebbe in realtà un ristoro comunque parziale. E comunque un ristoro tappa buchi sarebbe in larga parte uno spreco di risorse in quanto la pezza sarebbe più piccola del buco. E con il buco il rischio di fallimento di centinaia di migliaia di imprese resterebbe comunque molto pesante.
Infine, oltre alle “quantità” è necessario anche un fondamentale cambiamento di “qualità” che è assolutamente necessario in termini di equità e giustizia tra i vari soggetti.
Il ristoro prossimo venturo non dovrà avere soglie di accesso che discriminano arbitrariamente tra chi sta poco sopra o poco sotto la soglia.
Questo è un tema molto antico rispetto alle aliquote ed agli scaglioni dell’Irpef. Tanto che da molto tempo si è proposta una “aliquota continua” che parte da zero e sale verso l’alto man mano che il reddito del contribuente cresce.
Qui non bastano più le tabelline. Si tratta infatti di una formula matematica che peraltro oggi è facilissima da introdurre nei programmi dei computer.
Per fortuna nel governo Draghi, molti ministri, a partire dal presidente del Consiglio, conoscono perfettamente il problema.