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Biden come Trump. Gli Usa non mollano Taiwan, anzi!

Di Ludovica Meacci

Il rischio di un’invasione da parte di Pechino è innegabile ma l’amministrazione Biden ha già messo in chiaro che il suo supporto per Taiwan rimane “solido come una roccia”. L’analisi di Ludovica Meacci, già Yenching Scholar all’Università di Pechino

Il dipartimento di Stato americano ha rilasciato nuove linee guida per agevolare gli incontri tra i funzionari statunitensi e i loro omologhi taiwanesi, incoraggiando così le relazioni diplomatiche tra Washington e Taipei mentre Pechino incrementa la sua postura militare intorno all’isola di Formosa.

Il portavoce della diplomazia americana Ned Price ha aggiunto che queste revisioni protocollari sottolineano come la Repubblica di Cina rappresenti “una democrazia prosperosa e un partner securitario ed economico” per gli Stati Uniti, e una forza benefica per l’intera comunità internazionale.

Le nuove linee guida sono state fatte circolare all’interno dei ministeri e dipartimenti governativi, ma non sono state rese pubbliche. Dalla conferenza stampa si è appreso che, coerentemente con le relazioni non ufficiali tra Stati Uniti e Taiwan, il nuovo protocollo incoraggia gli incontri tra i funzionari sia all’interno degli uffici federali che nell’ufficio di rappresentanza di Taipei a Washington, di fatto l’ambasciata taiwanese negli Stati Uniti. Sarà consentita anche la partecipazione agli eventi organizzati a Twin Oaks, luogo preposto a residenza dell’ambasciatore taiwanese negli Stati Uniti fino a quando nel 1979 Washington non ha abbracciato la cosiddetta politica di “una sola Cina”, conferendo il riconoscimento diplomatico esclusivamente a Pechino. Oggi Twin Oaks rimane di proprietà del governo di Taipei.

Non si tratta comunque di una liberalizzazione a tutto tondo. Fonti ufficiali hanno infatti precisato che ci saranno alcune limitazioni, tese a non complicare ulteriormente il triangolo tra Pechino, Washington e Taipei. Per esempio, non sarà permesso ai funzionari statunitensi di partecipare alle cerimonie organizzate presso la residenza di Twin Oaks durante importanti festività taiwanesi e sarà vietato anche esporre la bandiera della Repubblica di Cina durante gli incontri bilaterali. Sarà invece permesso agli ufficiali statunitensi l’utilizzo di carta intestata per le comunicazioni con gli omologhi taiwanesi.

Si tratta di un segnale significativo, seppur largamente simbolico, di quale traiettoria prenderanno le relazioni tra Stati Uniti e Repubblica di Cina durante l’amministrazione Biden. Il nuovo protocollo, accolto con entusiasmo dalla rappresentanza taiwanese negli Stati Uniti, è l’ultimo di una serie di dimostrazioni – tanto verso Taipei quanto verso Pechino – del supporto degli Stati Uniti per la Repubblica di Cina.

Con il cambio di amministrazione nel 2021, molti si chiedevano che piega avrebbero preso le relazioni tra gli Stati Uniti e Formosa, e se il nuovo presidente Joe Biden avrebbe mantenuto la linea dura e a tratti provocatoria del suo predecessore. La presidenza di Donald Trump era infatti iniziata con la ormai celebre telefonata con l’omologa Tsai Ing-Wen nel 2016, il primo contatto ufficiale tra le due cariche in circa 40 anni, ed è proseguita con la fornitura di armi e la visita nel 2020 dell’allora segretario alla Salute e ai Servizi umani Alex Azar a Taiwan, il funzionario statunitense di più alto rango a visitare l’isola dal 1979, per finire con un simile rilassamento delle regole protocollari annunciato dall’allora segretario di Stato Mike Pompeo pochi giorni prima della fine del suo mandato.

La nuova amministrazione ha quindi ereditato un dossier spinoso, da sempre molto caldo e che è però diventato incandescente negli ultimi anni. I primi segnali della linea della presidenza Biden sono arrivati sin da subito, con l’invito della rappresentante di Taiwan negli Stati Uniti e di fatto ambasciatrice Hsiao Bi-khim alla cerimonia di insediamento nel gennaio 2021. Sulla stessa riga anche la firma dell’accordo di cooperazione tra le rispettive Guardie costiere per contenere le pressioni cinesi a largo delle coste di Formosa.

Washington, infatti, teme che Pechino stia diventando impaziente riguardo la sua riunificazione con Taipei. Funzionari statunitensi credono che la Repubblica popolare cinese sia intenzionata ad accelerare i tempi al punto da far pensare che potrebbe intervenire nello stretto di Formosa manu militari entro soli sei anni. Pechino, dal canto suo, non ha mai nascosto che la realizzazione del sogno cinese passa anche per la riunificazione con Taiwan.

L’isola governata democraticamente è infatti al centro delle mire territoriali della Repubblica popolare cinese, che continua a far sentire in maniera non troppo velata la sua presenza militare a Formosa. Pechino sta utilizzando tutte le sue capacità per intensificare la pressione su Taiwan, senza superare la soglia del conflitto. Le forze dell’Esercito popolare di liberazione hanno condotto esercitazioni di assalto anfibio e massicce penetrazioni aeree della zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan, con il chiaro intento di scoraggiare qualsiasi mossa di Formosa e mostrare agli Stati Uniti la sua determinazione.

Sono in molti a predire che l’invasione è alle porte e che la Repubblica popolare cinese stia aspettando il momento giusto per condurre una guerra cinetica nello stretto. Di certo c’è che per ogni mossa di Washington e Taipei, che sia l’invito dell’una a partecipare alla cerimonia di inaugurazione o l’aumento della spesa per la difesa dell’altra, le reazioni di Pechino non tardano mai ad arrivare. Viceversa, a ogni intimidazione cinese nei confronti di Taiwan corrisponde un’accresciuta convergenza tra la Repubblica di Cina e gli Stati Uniti.

Se il rischio di un’invasione da parte di Pechino è innegabile, è anche vero che l’amministrazione Biden ha già messo in chiaro che il suo supporto per Taiwan rimane “solido come una roccia”. Nessuna delle parti coinvolte sembra voler fare un passo indietro e le azioni decise della presidenza Biden hanno lasciato piacevolmente sorpresi anche i più scettici.



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