L’appello dell’ambasciatore ed ex ministro degli Affari esteri Giulio Terzi e di Matteo Angioli, rispettivamente presidente e segretario generale del Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella”
È trascorso un anno da quando, l’8 aprile 2020, il direttore dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, sferrò un attacco frontale contro Taipei dichiarando in una conferenza stampa di aver ricevuto minacce di morte e insulti razzisti provenienti dall’isola a 180 chilometri dalla costa cinese. Era passato quasi un mese dal fatidico 11 marzo 2020, giorno in cui l’Oms dichiarò ufficialmente la pandemia dopo una visita a Wuhan, da parte del direttore in persona ed era evidente come quest’ultimo avesse fatto suo il messaggio di Pechino secondo il quale la Cina aveva risposto adeguatamente e tempestivamente al contagio, e per tali ragioni era meritevole di incondizionata gratitudine universale.
Allora perché quelle dichiarazioni improvvise e senza precedenti nei confronti di una piccola isola di appena 23 milioni di abitanti? Ce lo spiega bene la reazione a una domanda rivolta il 30 marzo 2020 di un imbarazzatissimo epidemiologo canadese, Bruce Aylward, direttore della missione congiunta Oms-Cina sul Covid-19. Interpellato da una giornalista sull’esclusione di Taiwan dall’Oms nonostante gli eccellenti risultati nel neutralizzare il coronavirus, Aylward reagisce goffamente prima con una decina di secondi di silenzio, poi con una finta interruzione della connessione video, e infine con le immancabili lodi per Pechino.
Tuttavia, pochi giorni dopo, il 17 aprile, il dottor Mike Ryan, direttore esecutivo del programma per la salute e le emergenze dell’Oms, in una conferenza stampa dichiara: “Dobbiamo congratularci con le autorità sanitarie di Taiwan e il Cdc. Hanno assicurato un’ottima risposta sanitaria a Taiwan. (…) Stiamo osservando e stiamo introducendo colleghi taiwanesi nelle reti tecniche in modo che possano condividere la loro esperienza e contribuire con le loro conoscenze e anche cercare nuove conoscenze dall’esterno”.
Per inciso, è lo stesso Ryan che in tema di mascherine protettive, il 30 marzo, aveva dichiarato: “Non ci sono prove specifiche che indichino che l’uso di maschere da parte della popolazione porti potenziali benefici”, per poi fare marcia indietro il 3 aprile affermando: “Possiamo certamente vedere le circostanze in cui l’uso di mascherine, sia fatte in casa che di stoffa, può aiutare a livello di comunità nella risposta globale a questa malattia”.
Il 31 gennaio Taiwan aveva già incrementato significativamente i livelli di produzione e distribuzione di mascherine a livello nazionale e subito dopo internazionale. Mascherine a parte, Taiwan ha più che dimostrato di poter aiutare la comunità internazionale in molti modi e potrebbe fare molto ancora, se solo la comunità lo volesse. Il punto di partenza resta la partecipazione di Taipei ai lavori dall’Oms. Non essendo uno Stato, le autorità taiwanesi vanno ripetendo dal 2018 di essere sistematicamente escluse dalla piattaforma comune che regola le comunicazioni tra gli Stati membri dell’Oms e di essere dunque totalmente dipendente dalla Repubblica popolare cinese.
Benché l’Oms abbia stabilito, come da regolamento, “punti focali nazionali e punti di contatto dell’Oms per comunicazioni urgenti tra gli Stati parti e l’Oms” l’attuale comunicazione tra il punto focale nazionale e i punti di contatto è a senso unico. L’articolo 1 del regolamento dell’organizzazione sanitaria definisce il “punto focale nazionale” come “il centro nazionale, designato da ciascuno Stato membro, che sarà sempre accessibile per le comunicazioni con i punti di contatto”. Quest’ultimo è “l’unità all’interno dell’Oms che sarà sempre accessibile per le comunicazioni con il punto focale nazionale”.
Uno dei compiti dei punti focali nazionali è l’invio ai punti di contatto, a nome dello Stato interessato, di urgenti comunicazioni. Taiwan non chiede altro che tornare a partecipare a questo meccanismo comunicativo in modo che chiunque non sia uno Stato membro, come il Taiwan Centers for Disease Control, possa essere a conoscenza delle informazioni che circolano tra gli Stati senza gli impedimenti rappresentati dal filtro cinese.
L’azione di Taiwan nella lotta al Covid-19 è davvero straordinaria: ha donato 54 milioni di mascherine chirurgiche e altre forniture antipandemiche a più di 80 Paesi.
È attivamente impegnata nello sviluppo e nell’approvvigionamento di vaccini e ha aderito alla struttura Covid-19 Vaccines Global Access (Covax) guidata da Gavi, Vaccine Alliance, Coalition for Epidemic Preparedness Innovations, e Oms. Nel 2019 ha registrato circa 72 milioni di viaggi in entrata e in uscita. Nel 2020, nonostante l’impatto del Covid-19, ne ha gestiti circa 19 milioni. La frequenza con cui i viaggiatori arrivano e partono da Taiwan mostra fino a che punto Taiwan e altri Paesi sono esposti alla minaccia di malattie trasmissibili.
Taiwan è situata nella regione di competenza dell’Ufficio rgionale del Pacifico occidentale (Wpro) dell’Oms, che continua a rifiutarsi di contattare o interagire con Taiwan. Di conseguenza, Taiwan non è in grado di ottenere informazioni sulla pandemia e sui dati diffusi dal Wpro e non è in grado di partecipare alle riunioni organizzate dal Wpro. Inoltre, l’Oms e il Wpro conteggiano in modo improprio i casi di Covid-19 confermati a Taiwan, elencandoli sotto la Cina. Eppure la Repubblica popolare cinese e Taiwan sono giurisdizioni separate.
Taipei ha chiesto di partecipare a 199 riunioni tecniche organizzate dall’Oms tra il 2009 e il 2020, ricevendo soltanto 69 inviti, equivalenti a un tasso di rifiuto del 70%. Nel 2020, ha potuto partecipare solo a 7 dei 12 incontri di cui ha fatto richiesta.
Infine, nel 2020 il Pil taiwanese è salito del 2,98%. Nel post-pandemia Taiwan potrà fare pienamente leva sulla sua competitività industriale per promuovere la cooperazione internazionale nella prevenzione delle malattie, nella medicina e nell’assistenza sanitaria digitale.
Alla luce di tutto questo, nonché dell’assetto istituzionale democratico che contraddistingue Taiwan, raccomandiamo convintamente che l’Oms proceda a includere Taiwan. Ci sembra fondamentale se vogliamo che il bastone di Esculapio raffigurato nel simbolo dell’Oms continui a simboleggiare la guarigione e non la “mala striscia” del Purgatorio in cui si imbatte un Dante in cerca di libertà e conoscenza.