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L’informazione che serve? Precoce, scomoda e antipatica. Parola di De Bortoli

“È fondamentale che i giornalisti abbiano esperienza, preparazione e anche la consapevolezza di partecipare a una storia complessiva, di sentire lo spirito di una comunità e condividerne i valori” ha detto Ferruccio De Bortoli durante l’intervista con Valerio De Luca, presidente di Task Force Italia nel corso del web talk “Rilanciare il potenziale dell’Italia” sul tema dei media

La domanda più urgente a cui il mondo dell’informazione deve saper rispondere è cosa può fare per recuperare quel suo ruolo di riferimento per la società civile, ormai da tempo considerato secondario. “I buoni mezzi di comunicazione sono comunità di diversità, cioè di persone che magari all’interno di un singolo giornale hanno esperienze diverse e su alcuni punti la pensano in maniera diversa se non contrapposta, questa è la bellezza inarrivabile di un grande quotidiano, di un grande organo di informazione” ha ricordato Ferruccio De Bortoli durante l’intervista con Valerio De Luca presidente di Task Force Italia nel corso del web talk del 26 aprile.

Tra i partecipanti al tavolo di lavoro, coordinati da Dina Ravera vice presidente di Task Force Italia, Jean-Paul Fitoussi professore di Economia, Sciences Po e Luiss, Federico Fabretti partner Comin & Partners, Roberto Sergio direttore Radio Rai e consigliere di amministrazione di Radioplayer Italia e Marina Valerio giornalista anchor class Cnbc, Class Editori.

L’ORIGINE DELLE INFORMAZIONI

La cattiva informazione è principalmente responsabilità dei mezzi di comunicazione e delle qualità del loro lavoro, ma non solo. Nell’informazione che arriva al pubblico contribuiscono, in diversa misura, non soltanto gli operatori dei media in generale, ma anche coloro che hanno l’obbligo di rendicontare il proprio operato al pubblico.

Se c’è una buona o cattiva informazione, la responsabilità ricade sì sui giornalisti colpendo la credibilità dei loro mezzi, ma bisogna sempre tenere conto della sua origine, secondo De Bortoli. Molti protagonisti della vita pubblica italiana vivono l’informazione come un male necessario e di conseguenza succede che i media facciano da eco a informazioni non corrette, diffuse da terze parti. Nel caso della pandemia si sono susseguite una serie di comunicazioni errate e sarebbe stato importante che le istituzioni le avessero indicate come non corrispondenti alla realtà.

Questo atteggiamento, ha ricordato il giornalista, aiuterebbe a creare una pubblica opinione avvertita con un solido spirito critico, in grado di distinguere ciò che è falso da ciò che è vero, ciò che è effimero da ciò che è sostanziale.

Se il mondo dell’informazione italiano non è ai primi posti delle classifiche internazionali su pluralità e attendibilità è anche perché sconta il fatto che le imprese devono rendicontare se stesse al proprio pubblico di stakeholder, che oggi sono tutti i cittadini, nessuno escluso.

COMUNICAZIONE ISTANTANEA

Anche i giornalisti, secondo De Bortoli, hanno delle responsabilità, “spesso noi cediamo a una comunicazione istantanea sacrificando la profondità e l’accuratezza di questa informazione”. Tuttavia, il mondo dell’informazione, con i propri limiti si assume la responsabilità tutte le volte che comunica qualcosa e oggi questa comunicazione è istantanea.

I giornalisti devono anche rendersi conto che spesso hanno e devono avere un ruolo di costruttori, e una buona informazione non può essere, secondo De Bortoli, la comunicazione e la prosecuzione di quello che dicono aziende, mondo dell’economia e politica. Per questo l’informazione di un paese dipende anche dalla qualità della sua classe dirigente, della sua cultura e storia.

“Oggi abbiamo una pubblica opinione che si è purtroppo trasformata in curve contrapposte spesso alimentate da un algoritmo, che non ha più lo stimolo a confrontarsi con opinioni diverse, ma ricerca le stesse opinioni, conferme e si rinchiude in tante comunità relativamente delimitate” ha detto De Bortoli.

Così come in politica la cattiva politica segue i peggiori istinti degli elettori per non perderli, capita lo stesso nel giornalismo e spesso si pubblica ciò che ha più audience. Per formare un buon giornalista economico, ha affermato De Bortoli, ci vogliono anni di conoscenze, inchieste, “di marciapiede”. Ma non dimentichiamo che è importante anche il contesto, la qualità della redazione dove si opera.

Quale sarà l’approccio del mondo dell’informazione alla digitalizzazione? “Non si può sostituire l’importanza fondamentale di un cronista che sta sul posto, assiste a un fatto e lo descrive con le proprie conoscenze, dubbi, con il proprio cuore, perfino con le proprie viscere – ha sottolineato De Bortoli. Non c’è algoritmo che potrà sostituire qualcosa che nasce non solo dall’osservazione, esperienza, preparazione e cultura del cronista ma anche dal suo modo di vedere il mondo e di trasmettere delle emozioni.

Nella rete le fake news vengono scoperte subito e questo aggiunge una responsabilità maggiore al giornalista che deve essere attento e professionale nel raccontare un fatto. La responsabilità del professionista, secondo il direttore, anche se ha un’opinione è quella di non piegare gli avvenimenti alla suo pensiero ma raccontarli nel modo più corretto possibile.

CREDIBILITÀ E SCELTE

Il tempo di lettura e attenzione degli utenti, oggi, è un tempo definito che non può essere allargato a dismisura, e la credibilità sarà ancora di più un fattore di scelta. La rete ha rilanciato alcune forme di giornalismo investigativo, ha anche allargato lo spazio di libertà, con tutti i pericoli connessi, perché c’è una produzione continua di informazioni false e rumori di fondo che spesso contrastano con il funzionamento di una democrazia che vive del pensiero critico dei propri cittadini.

Un aspetto positivo della rete, ha ricordato De Bortoli, è che ha abbassato fortemente la soglia di ingresso dei nuovi editori e ne sono emersi alcuni di particolare qualità, come l’esempio francese di Mediapart che coniuga una buona informazione con una buona imprenditorialità editoriale. L’obiettivo è far crescere i ricavi che sono la diretta conseguenza della qualità dell’informazione, non rassegnandosi all’idea che i giornali siano semplici contenuti di pubblicità e para-pubblicità.

Le tendenze dei social media condizionano molto i temi dell’informazione, spingendo i mezzi a uniformarsi in maniera inconsapevole per non correre il rischio di pagare un prezzo in termini di audience. Questo espone le voci diverse, indipendenti e libere a una forma di intimidazione sulla rete, posizioni che possono essere invece, anche nella loro minoranza, una forma di arricchimento del dibattito pubblico come ha sottolineato il giornalista.

“Dobbiamo considerare è che la piazza virtuale, come peraltro le piazze fisiche, può essere condizionata da forze organizzate, occulte e violente”. Così, l’attenzione della politica dovrebbe essere incentrata su “un grande investimento sul capitale umano, la formazione continua, la creazione di una classe dirigente senza le quali probabilmente non riusciremo a uscire da questo Medioevo di scarsa crescita e costumi fortemente deteriorati” ha detto De Bortoli.

GIOVANI E FORMAZIONE

I giovani e le donne sono stati tra le fasce più colpite dalla pandemia ed è necessario fare qualcosa di più per non perdere una generazione, renderla protagonista, coinvolgerla nella collettività. Le comunità si sono unite con forza di fronte all’emergenza, riscoprendo l’importanza di avere valori comuni e aiutarsi gli uni con gli altri.

Come rilevato da De Bortoli, il capitale sociale può essere tutelato, specialmente nella sua componente giovanile, anche con un’idea di partenza diversa da parte delle stesse aziende, scegliendo i giovani a prescindere da incentivi e bonus, facendoli uscire dal precariato. Su questo tema si è espressa anche Dina Ravera, ricordando la considerazione diffusa che i giovani si informino principalmente attraverso i social media.

Tutti, da sempre, dicono che bisogna migliorare l’educazione, occuparsi del capitale umano dato che è la risorsa primaria e che determinerà la crescita del futuro, secondo Jean-Paul Fitoussi. Se i governi avessero fatto politiche basate su questo assunto, la disoccupazione e la precarietà non sarebbero state accettabili, perché riducono considerevolmente il capitale umano.

L’INDIPENDENZA…

Affinché i media funzionino bene e diano il loro apporto alla società è fondamentale che i giornalisti siano indipendenti, ma “vedo che ci sono delle relazioni incestuose, se così si può dire, tra media, capitale e politica. E queste relazioni fanno sì che l’informazione perda di credibilità” ha detto Fitoussi.

Un giornalista, se vuole essere credibile, secondo il professore, deve mostrarsi indipendente dal mondo delle imprese e da quello politico, ma è ancora possibile, in una realtà in cui ai media mancano le risorse?

I mezzi di informazione che hanno i bilanci in ordine, secondo De Bortoli, sono per loro natura indipendenti, è una condizione necessaria ma non sufficiente. L’indipendenza, sottolinea il direttore, è direttamente proporzionata alla preparazione del singolo giornalista e ai valori, storia e prestigio della testata di cui fa parte.

Ci sono anche giornalisti che, pur essendo preparati, a volte non sentono come un’urgenza morale il fatto di essere e dimostrarsi indipendenti e di conseguenza esiste una tendenza ad avere rapporti con economia, politica, anche utili dal punto di vista professionale, ad esempio per ricevere informazioni privilegiate, sottolinea il direttore.

“Questo è un discrimine molto delicato: fino a che punto vanno coltivati dei rapporti senza i quali probabilmente alcune informazioni non si avrebbero e fino a che punto questi rapporti rischiano di trasformarsi anche in un’implicita, non voluta complicità con la propria fonte?”

…E LA RESPONSABILITÀ DEI MEDIA

Tutti i professionisti dei media, in questo ultimo anno, hanno toccato con mano la grande responsabilità che hanno, è nei momenti di emergenza e di crisi che ci si rende conto di quanto la comunicazione sia un fatto concreto in grado di creare ottimismo o pessimismo, che può influenzare la coscienza collettiva e creare opportunità, secondo Roberto Sergio.

Quale può essere la ricetta per far sì che i tantissimi soggetti della comunicazione, con le loro diverse responsabilità operino nella stessa direzione? Il mondo dei media, secondo Ferruccio De Bortoli, deve fare solo e unicamente il proprio mestiere e non surrogare la comunicazione istituzionale o creare un clima di fiducia quando non ci sono gli elementi che la favoriscono.

Da questo punto di vista sono necessari codici che devono essere applicati utilizzando il senso della misura. Non è detto che chi ha popolarità debba avere più peso di una persona che ha conoscenze scientifiche, ma “purtroppo è quel che accade, perché spesso le regole dell’entertainment hanno il sopravvento rispetto a quelle che sono i canoni della buona informazione”.

Questo richiede, secondo De Bortoli, un atteggiamento diverso, lontano dall’idea che edulcorando la comunicazione si possano favorire le condizioni per una ripresa di fiducia, speranza, sentimenti non quotati su nessun mercato, che non vanno creati in maniera artificiale.

“La si costruisce questa fiducia e speranza attraverso la credibilità di chi parla al pubblico con la convinzione che tutti possano sentirsi cittadini e non sudditi o naufraghi, persone trattate come adulti e non come bambini da ingannare. E’ purtroppo la lezione amara che anche questa drammatica esperienza della pandemia restituisce al mondo del giornalismo”.

POST-VERITÀ E INFORMAZIONE FINANZIARIA

Una notizia proposta e confezionata come vera, ben comunicata può diventare più vera della verità, nel contesto attuale. Secondo Federico Fabretti, si tratta di un ambito culturale che si può definire come post-verità. In questa atomizzazione dell’informazione, infatti, non c’è più una verità e di conseguenza il fruitore dell’informazione preferisce andarsi a cercare la verità che preferisce.

È un contesto in cui ovviamente prolificano le fake news, le opinioni pubbliche oggi non nascono più attraverso i giornali ma attraverso mille professionisti dell’informazione che sanno usare gli algoritmi e creano news che arrivano al pubblico condizionando le sue scelte, ha ricordato Fabretti.

Per uscire da questa situazione è sicuramente importante puntare sulla formazione che porta poi all’autonomia di giudizio, alla interpretazione di informazioni e dati che ci vengono proposti, ma resta fondamentale il ruolo e la funzione mediale del giornalista come “gate keeper”. Secondo Fabretti, chi setaccia l’informazione e la filtra ha un ruolo di diaframma tra creatore e fruitore dell’informazione e riconquisterà nel corso del tempo la sua dignità come figura centrale di incanalamento delle coscienze.

La gestione della complessità delle informazioni sui temi dell’economia riguarda la capacità di influenzare la fiducia dei consumatori, e storie che diventano virali attraverso i social network possono trasformarsi in narrativa dominante e influenzare il comportamento economico e finanziario della società, secondo Marina Valerio.
Se da un lato assistiamo a una democratizzazione della finanza e dell’economia, dall’altro ci sarebbe bisogno di una accresciuta adeguatezza dell’informazione finanziaria e di una maggiore presenza di questi temi nei palinsesti televisivi.

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