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Il tesoro libico. Dov’è, chi lo controlla e quanto vale

Di Uberto Andreatta e Emanuele Rossi

Il premier libico Dabaiba ha davanti a sé la necessità di ricostruire il Paese muovendo soprattutto l’economia, per spingere lo sviluppo, ricomporre il contesto sociale e spingersi verso il futuro. E in Libia i tesori non mancano

Come nell’aprile del 2016, quando Fayez Serraj era stato nominato a capo dell’autorità esecutiva del Government of National Accord dell’Onu, anche adesso il nuovo primo ministro libico, Adbelhamid Dabaiba, si trova a che fare con una necessità prioritaria: ricostruire il tessuto economico. In un paese che dal 2011 non conosce pace, l’obiettivo dell’attuale governo – il secondo tentativo di rappacificazione costruito dall’Onu, il primo accettato anche dalla Cirenaica – è cruciale. Ora il Governo di unità nazionale ha l’opportunità in più: il processo parte con un apparente sforzo unitario tra Est, Ovest e Sud – le tre Libie, così diverse e dagli equilibri delicati, sembrano unite sotto egida Onu.

Il paese ha bisogno di tornare prospero per costruire il sostrato sociale verso le elezioni di dicembre prossimo – termine di scadenza dell’incarico che l’Onu ha affidato a Dabaiba. Dall’economia passa infatti molto del futuro libico, come per esempio il disarmo della milizie: i giovani libici devono avere possibilità di lavorare, di lanciarsi nell’impresa, di sognare per dirlo in termini ancora più alti, perché questo è il modo per tenerli lontani dalle armi – con le milizie che sono diventate ormai dei cartelli, delle mafie che controllano il territorio e si sostituiscono allo stato nel recepire istanze e scontento.

La ripartenza economica è certamente legata al riavvio delle produzioni petrolifere, che pesano per il 95 per cento degli introiti del paese, ma il petrolio è un asset destinato a frenare in un futuro non lontano. La Libia di Dabaiba si riaffaccia a un mercato – dove ha potenzialità certe, con il suo milione e mezzo di barili giornalieri estratti a pieno potenziale – in fase di esaurimento. E infatti aziende da sempre presenti in Libia come l’Eni stanno già dialogando sul come sfruttare la risorsa per sostenere i libici ma contemporaneamente diversificare il futuro del paese, avviarlo verso la transizione energetica, aprire altre opportunità di crescita e sviluppo.

Il tesoro sotterraneo si abbina ai forzieri finanziari. La Libia ha diversi asset di valore, che sono bloccati per un congelamento imposto dalle Nazioni Unite. Sanzioni del Consiglio di Sicurezza collegate alla fase finale del rais Gheddafi (tra il febbraio e il marzo 2011) che sono state rinnovate annualmente finora, anche perché fin qui il decennio post-dittatura è stato tutt’altro che stabile. Per esempio, Libyan Investment Authority (LIA), il grande fondo sovrano sanzionato con la risoluzione 1973/2011, viene ancora tenuto fermo dall’Onu e assimilato al suo veicolo LaFiCo. Ha in pancia circa 60 miliardi di dollari di asset (per quanto la stima sia molto approssimativa stante la difficoltà di effettuare un audit accurato sul portafoglio) con diramazioni in tutto il mondo economico e finanziario che conta (Citigroup Inc., UniCredit, Banco Santander, Allianz, Électricité de France, Eni, per dirne alcuni).

Lo stesso vale per il Libyan Africa Investment Portfolio. Differentemente a questi strumenti di soft power economico che servono per investimenti, la Central Bank of Libya (CBL), la banca centrale, è stata lasciata attiva perché è considerato il salvadanaio delle spese correnti dello stato. Anche la CBL è presente con varie tipologie di investimenti internazionali, per esempio in Italia ha una quota del 2 per cento in UniCredit (e non solo) e – contrariamente alla LIA che da sanzionata è in difficoltà nell’esercitare i propri diritti di governance – si muove. La CBL comunque mantiene una profilo di azione piuttosto conservatore, senza rischiare speculazioni proprio per la funzione che svolge di agente pagatore di ultima istanza della popolazione.

Anche perché durante il decennio di instabilità entrambe le istituzioni sono state governate in modo conservativo, più o meno cristallizzate nella governance per evitare che la partita politica e militare entrasse anche nelle porte delle istituzioni finanziarie – che come la petrolifera Noc sono state tenute chiuse, protette anche per volere imposto dall’esterno (dall’Onu e dai vari attori internazionali che si sono mossi attorno al dossier). Ora Dabaida, secondo le informazioni che circolano, avrebbe intenzione di sostituire i quadri della LIA come passo per avviare la ristrutturazione e inserire anche i contenitori finanziari all’interno del processo di rinnovamento e stabilizzazione.

Sarebbe un passaggio verso le eliminazione delle sanzioni, secondo i libici. Sanzioni che se da un lato hanno protetto la LIA dalle ingerenze esterne e interne, e l’hanno tenuta al sicuro da diversi che, come nel caso del Global Sustainable Development Trust belga, vantavano presunti crediti pregressi, dall’altra parte hanno prodotto perdite. La LIA, come tutte le strutture finanziarie, aveva per esempio investito in obbligazioni e quello che si è innescato a causa del sistema sanzionatorio è stato il classico caso di mancato guadagno. Maturate le obbligazioni, sottoscritte prima delle risoluzioni Onu, i liquidi sono rimasti fermi, bloccati, perché non era possibile il ri-investimento. Questo ha prodotto una quantità di cash non produttivo: l’impossibilità di nuovi investimenti ha portato a un mancato guadagno pari, secondo una stima di Deloitte,a 4 miliardi di dollari.

Ora il tema diventa di carattere politico-strategico. La gestione azionaria attuale non è chiaramente la stessa di dieci anni fa, e il congelamento degli asset e delle liquidità non ha permesso alla Libia di investire nei settori dell’innovazione, come il fintech per esempio. O ancora, il paese finora non ha avuto possibilità di investire nei mondi della transazione energetica, e invece per lo sviluppo strategico avrebbe già necessità di allargarsi alle realtà delle rinnovabili, e di farlo per esempio tramite investimenti in aziende europee. Come tutti i Paesi del continente, peraltro la Libia gode di un’irradiazione solare tale da consentire un sviluppo imponente del settore fotovoltaico. È da questo quadro che Dabaiba inizia a muovere la sua partita, senza possibilità dimenticare nessun angolo di rappresentazione per evitare criticità e dovendo dimostrare di essere alla guida di un governo in grado di ottenere un marchio di affidabilità per poter riutilizzare il tesoretto del suo paese.


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