I segnali dell’escalation militare russa in Ucraina sono evidenti da mesi, dalle manovre militari alla pressione a Donetsk fino alla propaganda di Russia Today. Ora la guerra è davvero a un passo, ma l’Europa non ha il coraggio di dire la verità. Quattro punti per una strategia transatlantica. L’analisi di Nona Mikhelidze, head of the Eastern Europe and Eurasia Programme, IAI
Dopo sette anni dall’annessione della Crimea, la Russia sta preparando un nuovo attacco militare all’Ucraina. L’obiettivo finale, anche se non dichiarato apertamente, può variare dall’annessione della regione del Donbas alla ripetizione dello scenario del Nagorno-Karabakh, e dunque allo schieramento di peacekeepers sulla linea di contatto della regione secessionista di Lugansk-Donetsk.
Un attacco su larga scala è meno probabile. Le forze della Difesa ucraina non sono più quelle del 2015, oggi opporrebbero una strenua resistenza. Lo scenario più probabile è allora quello di una guerra localizzata.
La vera domanda cui nessuno ha ancora dato una risposta è: perché proprio ora il Cremlino si avventura in una nuova escalation militare? Possono essere avanzate più ipotesi. La prima: distogliere l’attenzione interna e internazionale dalla questione Navalny e dalla situazione sempre più precaria per il rispetto dei diritti umani in Russia.
PERCHÉ MOSCA SI MUOVE ORA?
Come sappiamo, da giorni Navalny è impegnato in uno sciopero della fame e chiede che i medici possano entrare in carcere. Nell’ultima videoconferenza con Vladimir Putin, Emmanuel Macron ed Angela Merkel hanno chiesto il suo rilascio ed espresso preoccupazione per la situazione disumana in cui si trova. Da parte sua, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha risposto che l’Occidente deve occuparsi dei suoi “affari domestici”.
Il secondo motivo di questo attivismo è da ricercare nel tentativo di distogliere l’attenzione dei russi dalla crisi pandemica e post-pandemica del Paese. La Russia ha sviluppato il vaccino Sputnik V, ma non è in grado di produrlo su larga scala. A fine febbraio, solo il 4% di 143 milioni di russi era stato vaccinato. Un ritardo che ha gravi ripercussioni sulla crisi economica.
Infine, la terza ragione: la Russia si sente accerchiata dall’Occidente in Bielorussia e in Georgia. Lukashenko, da mesi apertamente sostenuto dal Cremlino, non è riconosciuto come legittimo presidente da gran parte degli Stati occidentali, che si sono schierati con l’opposizione. In Georgia la crisi politica dura ormai da tempo e l’Ue e gli Usa si sono mossi insieme per mediare e mettere un freno alla polarizzazione politica. Mosca teme l’arrivo di forze di opposizione al governo a Tbilisi e ha interpretato la mediazione occidentale come un’interferenza nel suo “Estero vicino”.
I SEGNALI DELL’ESCALATION
I segnali di un’imminente escalation militare sono evidenti da mesi. A gennaio Lavrov ha chiarito che se Francia e Germania non forzeranno l’Ucraina a implementare gli accordi di Kiev, la Russia agirà “di conseguenza”. Sempre a gennaio, al forum del Russian Donbas organizzato dalla repubblica secessionista di Donetsk, la capo-redattrice di Russia Today, Margarita Simonyan, ha detto che è arrivato il momento di “riportare a casa” nella “madre Russia” il Donbas. Dimitri Peskov, portavoce del Cremlino, si è affrettato a smentire. Ma è difficile credere che la caporedattrice di un canale tv interamente finanziato dal governo russo possa prendersi certe libertà senza motivo.
Alcuni segni sono stati inequivocabili. La Russia si è mossa sul campo di battaglia, moltiplicando le forze militari, i cecchini e le violazioni del cessate-il-fuoco del 27 luglio 2020 testimoniate dagli osservatori Osce.
A queste si sono aggiunte le recenti esercitazioni militari russe al confine ucraino e al nuovo dispiegamento di forze in Crimea. Il New York Times, citando un cablo della diplomazia americana, parla di 4000 nuovi soldati. E il comando europeo delle forze armate americane ha innalzato il livello di allerta a “potenziale crisi imminente”. Anche i servizi segreti e il ministero della Difesa ucraini sostengono che la Russia sia entrata nella “fase finale” della preparazione di una serie di misure volte a provocare una risposta da Kiev.
Il governo ucraino accusa inoltre Mosca di aver inviato nuove truppe regolari con il pretesto di “proteggere” i cittadini russi a Donetsk e Lugansk, dove ha già distribuito i passaporti. Una conferma di una strategia narrativa del Cremlino, che si presenta come “difensore” da un presunto, imminente attacco dell’Ucraina.
Il week end scorso Putin e il ministro della Difesa Sergei Shoigu si sono incontrati nella taiga siberiana. I media di Stato hanno mostrato le loro amabili passeggiate. Difficile credere che l’obiettivo del vertice fosse semplicemente prendere una boccata d’aria.
SE L’EUROPA GIRA LA TESTA
Questa escalation, va detto, è anche frutto della passività della diplomazia europea, che si è accontentata dello status quo del 2014-2015 e di un negoziato fra Francia, Germania, Ucraina e Russia che non è mai stato implementato. Con Joe Biden alla Casa Bianca e la sua solenne promessa di porre fine ai giorni “dell’aggressione russa” qualcosa è cambiato. Ma alla retorica dovranno seguire azioni concrete, e finora gli occhi di Washington DC sembrano puntati più ad Est, sulla Cina. Le telefonate di Biden e Lloyd Austin agli omologhi a Kiev segnalano nondimeno un crescente interesse.
Germania e Francia nel frattempo hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui esprimono preoccupazione per le crescenti violazioni del cessate-il-fuoco e invitano entrambe le parti a cercare una mediazione. In ossequio a una vecchia tradizione della diplomazia europea, si rivolgono a entrambe le parti. Eppure è fin troppo chiaro chi è l’aggressore e chi l’aggredito. È stata la Russia, non l’Ucraina, a muovere le truppe al confine. Qui sta la grande differenza di approccio con gli Usa. A Washington non si fanno problemi a fare nomi e cognomi.
QUATTRO PUNTI PER UNA STRATEGIA NATO
Le dichiarazioni, evidentemente, non bastano. C’è bisogno di una nuova strategia transatlantica verso l’Ucraina e la Russia, strutturata lungo le seguenti linee. Anzitutto, definendo un metodo d’azione occidentale, all’insegna dei diritti umani e dei valori democratici. La seconda priorità è la riforma del formato Normandia. Quando Merkel abbandonerà il cancellierato il format perderà il suo peso politico. C’è bisogno di un coinvolgimento attivo degli Stati Uniti. La soluzione ideale vedrebbe Germania e Francia sostituite dall’Ue. Ma la visita di Josep Borrell a Mosca ha distrutto qualsiasi speranza.
Dunque la terza priorità: rafforzare la resilienza della democrazia ucraina, del suo settore militare ed energetico. Che ci porta al quarto e ultimo punto: rivedere subito il sistema delle sanzioni contro la Russia. Devono diventare uno strumento per affermare la supremazia dei valori universali sull’opportunismo politico e punire i trasgressori. Identificando le persone giuste da sanzionare, cioè gli oligarchi russi, sia per limitare l’aggressività russa in Ucraina, sia per scoraggiare un’ulteriore repressione della società civile in Russia. Bisogna, infine, fermare il gasdotto russo North Stream II. Se anche questa volta la Germania dovesse remare contro, gli Stati Uniti dovrebbero rafforzare le sanzioni su tutte le società europee coinvolte nella sua costruzione.
(Foto: Mstyslav Chernov)