No a unilateralismo e mentalità da guerra fredda, dice il presidente cinese al Forum Boao. Il discorso, spiega il professor Andornino (Università di Torino), rivela che Pechino teme di finire isolata dal metodo Biden
Il presidente cinese Xi Jinping ha aperto il Forum Boao per l’Asia facendo appello alla cooperazione tra i Paesi sulle grandi sfide, aggiungendo che “non c’è posto per l’unilateralismo o l’egemonia” e invitando il mondo a rifiutare una “mentalità da guerra fredda”. Un discorso “in sostanziale continuità con i pronunciamenti degli ultimi anni”, commenta Giovani Andornino, docente dell’Università di Torino e direttore del TOChina Hub, con Formiche.net.
Ma alla Casa Bianca non c’è più Donald Trump e il mondo sta lentamente uscendo da un anno di pandemia. Infatti, continua il professore, “a essere cambiato, però, è il contesto internazionale, come lo stesso leader cinese riconosce parlando di quattro deficit: di governance, fiducia, sviluppo e pace”. Tra questi, “il deficit più evidente e grave è quello della fiducia, che è anche il più fondamentale di tutti”. E “avendo la Cina di Xi responsabilità significative per questo aggravamento del deficit di fiducia, ricorrere ad argomentazioni ordinarie per questo tempo di tensioni straordinarie rende il discorso meno convincente”.
Viene il dubbio che il discorso contro i protezionismi e contro chi vuole “costruire barriere” pronunciato dal presidente cinese potesse funzionare fino a qualche mese fa. Meno adesso che alla guida degli Stati Uniti c’è Joe Biden. “Il tema centrale non sono le politiche protezionistiche già care a Trump”, commenta Andornino: “Ciò che la dirigenza cinese guidata da Xi paventa è il metodo Biden, ossia lo sforzo di allineare vari Paesi su una posizione comune sotto la regia statunitense, da cui discendano varie politiche orientate – di fatto – al contenimento della Cina. Già in precedenti discorsi Xi aveva censurato l’unilateralismo altrui; in questo intervento parla di regole imposte ‘da uno o alcuni Paesi’”. Un riferimento indiretto ma chiaro agli Stati Uniti che rappresenta, secondo il professore il “riconoscimento del fatto che la dinamica sta cambiando e la Cina rischia un maggiore isolamento”.
Ascoltando il discorso di Xi torna alla mente un recente rapporto Merics, un centro studi tedesco finito recentemente sotto sanzioni cinesi dopo le tensioni tra Bruxelles e Pechino sulla situazione nello Xinjiang. L’analista Jacob Mardell invitava l’Unione europea a “riconoscere che il mondo che Pechino intende realizzare è quello in cui il biasimo per atroci abusi dei diritti umani in un altro Paese è una violazione delle norme internazionali, piuttosto che l’adesione [a esse]. Ciò è incompatibile con i valori e l’attuale identità politica dell’Unione europea”.
Secondo il professor Andornino “non può stupirci che Xi ribadisca la linea rossa invalicabile per il Partito comunista cinese: l’ingerenza negli affari interni cinesi non sarà mai tollerabile per Pechino. Al contempo, l’eterna promessa del mercato cinese non cessa di essere un argomento attraente ed è comprensibile che venga ribadita a beneficio delle imprese che cercano la crescita nel mondo post Covid-19”.
Una sfida per l’Occidente. “Stati Uniti e Unione Europea sono democrazie liberali: le relazioni con la Cina saranno definite mediante progressivi aggiustamenti ponderando le priorità politiche e gli interessi economici di volta in volta in gioco”, osserva Andornino. “Stiamo osservando solo l’inizio della partita”, conclude.