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A chi appaltare gli appalti?

Ho serie difficoltà a comprendere per quale motivo ci si oppone ad utilizzare in Italia le regole dell’Unione europea, identiche a quelle della Banca mondiale, al fine di semplificare le procedure. Il commento di Giuseppe Pennisi

A chi appaltare il codice degli appalti e la sua semplificazione? Questo è il dilemma, si potrebbe amleticamente dire, leggendo le discussioni sulla revisione del codice degli appalti che pare stiano bloccando il varo del decreto legge sulle semplificazioni o minaccino imboscate durante la sue conversione in legge.

Non sono uno specialista di appalti pubblici: un vero specialista, a livello internazionale, lo è il collega economista Gustavo Piga, il quale ha scritto opere fondamentali in materia ed è direttore editoriale di Formiche.

Per circa dieci anni, però, quando dirigevo una divisione della Banca mondiale, dovevo ogni sera inviare telegrammi di “nulla osta” per le proposte di affidamento di lavori civili e di commesse di impianti in una ventina di Paesi africani. Potevo fare ricorso al servizio legale della Banca – lo feci in dieci anni una mezza dozzina di volte – ma avevo due vice, ambedue ingegneri, che, studiata la documentazione, preparavano il telegramma. Un paio di volte emersero problemi. Una volta (in Zambia) la ditta di costruzione finì in amministrazione controllata con serie implicazioni per i lavori. Un’altra volta (in Ruanda) ci fu un vero e proprio imbroglio di cui non si accorse il collega dell’ufficio di Nairobi che erogava il finanziamento. Troppo complicato raccontare la vicenda: la cosa era tanto grave che dovetti interrompere la vacanze in Sicilia, correre a Nairobi, da dove con due colleghi (un avvocato ed un contabile) andai in Ruanda con una aereo privato (che restò con noi una settimana) per cercare di sbrogliare la matassa. Alla fine della storia, al Ruanda venne revocato il prestito e non poté accedere più ai finanziamenti della Banca, in nessun settore, sino a quando non ebbe rimborsato il maltolto.

Il codice degli appalti per beni e servizi finanziati dalla Banca mondiale constava di una trentina di pagine, aggiornata periodicamente da circolari. Oggi è di una cinquantina di pagine, che si possono leggere online. Semplici e trasparenti si basavano inizialmente sulle guidelines per appalti e commesse del Royal Institute of British Architect (Ribia) semplicemente perché quest’ultime erano state scritte cinquanta anni prima, funzionavano bene e non c’era ragione di inventare il cavallo se era stato già inventato. Analogamente quando la Commissione europea iniziò a finanziare investimenti, mutuò le proprie linee guida da quelle della Banca mondiale. Mi trovai a fare varie operazioni di co-finanziamento con l’Unione europea e la parte relativa ad appalti ed al loro monitoraggio era semplicissima.

Ho serie difficoltà a comprendere per quale motivo ci si oppone ad utilizzare in Italia la regole dell’Unione europea, identiche a quelle della Banca mondiale, al fine di semplificare le procedure.

Nella mia limitata esperienza italiana (il Fondo Investimenti ed Occupazione negli anni ottanta del secolo scorso e l’aver fatto parte di un paio di commissioni di collaudo) ho avuto la netta impressione che i nodi non fossero le procedure di affidamento di lavori o commesse ma  capitolati (e computi metrici) piuttosto grossolani, uno specchio di come la pubblica amministrazione si è impoverita di competenze tecniche, soprattutto nel campo ingegneristico. Questo è probabilmente il campo dove operare.

Il codice degli appalti italiani – mi si dice – è stato scritto soprattutto da giuristi, anzi da magistrati, con l’obiettivo (indubbiamente meritevole) di contrastare la corruzione: per questa ragione ha divieti e vincoli nell’uso di sub-appalto e di piccole e medie imprese, andando in direzione opposta delle regole di Banca mondiale ed Unione europea che, invece, hanno deroghe specifiche mirate a facilitare le piccole e medie imprese e la loro crescita.

Da quel che si legge sulle cronache, soprattutto quelle relative al Csm, a certe procure ed a eventuali logge magiare, molti magistrati hanno contezza della corruzione. Ma è saggio affidare loro un lavoro che nel resto del mondo viene affidato a ingegneri, economisti e qualche giurista, soprattutto in una fase in cui, a ragione o a torto, analisi sociologiche indicano la magistratura come la categoria meno stimata dagli italiani? Forse prima di occuparsi di appalti, farebbero meglio ad accettare una seria riforma ed a tonare ad essere ben considerata dai concittadini.

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