Il ministro della Pubblica amministrazione non propone di abolire i concorsi e di fare selezionare i funzionari e dirigenti del futuro da un fantomatico dr. Know celatosi in una qualche società di ricerca del personale, ma di cambiarne modalità sulla base di uno schema modulabile a seconda delle professionalità richieste. Il commento di Giuseppe Pennisi
Il Mezzogiorno di Fuoco del ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta si chiama concorsi. I suoi avversari, come nel film di Fred Zinnermann, dicono alcuni di essere a destra e altri di essere a sinistra. E lui deve sparare, come Gary Cooper, dalle due fondine. In effetti, sia che si dicano di destra sia che si proclamino di sinistra, vogliono mantenere quel sistema che Maurizio Ferrera ha chiamato “particolaristico clientelare” e che ha avvilito la funzione pubblica.
Da un lato, ci sono coloro che vogliono non i concorsi ma la “regolarizzazione” dei “precari” di vario tipo, da quelli che hanno insegnato per anni come i contrattisti nella scuola (sarebbero 120.000) ai navigator di pentastellata memoria, passando per tanti altri (anche tirocinanti regionali). Da un altro, ci sono coloro che accusano le modalità di concorso per titoli e prove semplificate come “meritocratici”, dando all’aggettivo un termine derogatorio come se volesse indicare un favore ai ceti abbienti, che avrebbero potuto studiare e collezionare titoli su titoli, e discriminatoria nei riguardi delle famiglie a basso reddito, i quali avrebbero dovuto interrompere la propria formazione per aiutare se stessi e la famiglia. Ambedue le schiere rappresentano l’immobilismo, con una vasta deroga per i precari, anche se alla seconda pare appartengono numerosi giuristi amministrativi. Un prova che la vecchiaia non è fenomeno anagrafico.
Brunetta non propone di abolire i concorsi: sarebbe non solo contrario al dettame costituzionale ma anche contro il requisito di “imparzialità” essenziale per una Pubblica amministrazione di uno Stato ben funzionante nonché contro il buon senso secondo cui ad amministrare le risorse di tutti devono essere i migliori, quelli che negli Usa, ai tempi di John F. Kennedy venivano chiamati the best and the brightest.
La documentazione presentata per le audizioni in Parlamento e per la preparazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è chiara e limpida. Non si propone di abolire i concorsi e di fare selezionare i funzionari e dirigenti del futuro da un fantomatico dr. Know celatosi in una qualche società di ricerca del personale, ma di cambiarne modalità sulla base di uno schema modulabile a seconda delle professionalità richieste (varie tipologie di ingegneri, informatici, giuristi, specialisti di organizzazione). Lo schema di base consiste in tre passaggi: a) una valutazione dei titoli legalmente riconosciuti; b) una prova scritta; c) una prova orale (gestibile anche in modalità telematica). Finirebbero le prove pre-selettive a test (essenzialmente mnemoniche) che usano paralizzare il traffico nel quartiere Aurelio di Roma, il tema giuridico (obbligatorio), la scelta tra quello di storia e di economia, i mesi per la correzione degli elaborati e gli altri per esami orali di fronte a commissioni.
Che fosse un sistema permeabile lo documentano le dinastie di parenti e “compaesani” che affollano i ministeri. Ho fatto parte di commissioni di concorso. Le pressioni arrivavano agli orali. Da quelle di un ministro abruzzese (ora defunto) che mi fece inviare al mio domicilio 30 (trenta) lettere a supporto di 30 (trenta) candidati, presumibilmente, tutti del suo collegio, in cui dava assicurazioni sulla professionalità e “alto valore morale” di ciascuno – lettere presumibilmente scritte per mostrare ai suoi elettori interessamento. A quelle di un magistrato amministrativo (anche esso defunto) che avuto il mio numero di cellulare, mi tempestava di chiamate a favore di una ragazza (tanto carina quanto poco preparata); finii per utilizzare una locuzione milanese per mandarlo al diavolo.
La modalità proposta da Brunetta ha una base teorica forte: è quella che nel 2001 fece meritare a Michael Spence il Nobel per l’Economia, specialmente per il suo lavoro Signalling and screening. Ha anche una robusta evidenza empirica perché è la prassi seguita da tutte le maggiori organizzazioni ed imprese internazionali. Io stesso, nel lontano 1967, a 26 anni venni selezionato con una procedura del genere da Banca mondiale, First National City Bank e Exxon Europe; scelsi la prima. Nel seguito della mia carriera feci un concorso analogo per diventare professore stabile, a 53 anni, alla Scuola Nazionale d’Amministrazione. Guglielmo Negri, che guidava la Scuola, sospese la prassi di “chiamare” i docenti perché pensava che portasse a scelte non ottimali di professori e magistrati che volevano risiedere a Roma ed istituì quella di concorsi per titoli e la conduzione di lezioni. Il bando era in Gazzetta Ufficiale, presentai le mie pubblicazioni e feci le dovute lezioni. Mi sembrò del tutto normale.