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Così il Pentagono fronteggerà la Cina. Il report del Cnas

Il Cnas analizza la richiesta di budget “skinny” presentata dall’amministrazione Biden per il Pentagono: 715 miliardi di dollari. Parola d’ordine “flessibilità”, visti anche i tempi stretti per l’approvazione al Congresso. Ci sarà comunque un focus forte sull’innovazione in campo militare, tutta per il confronto con la Cina

La Difesa degli Stati Uniti si prepara al confronto globale con la Cina: più missili e più navi, meno sprechi e meno impegni lontani da interessi diretti (Afghanistan in primis). È il quadro che emerge dal rapporto “Making Sense of Cents”, a cura di Stacie L. Pettyjohn e Becca Wasser, ricercatrici del Center for a New American Security (Cnas), il think tank con base a Washington ben collegato all’attuale amministrazione targata Joe Biden. Nel Pentagono di Lloyd Austin, sono diverse le figure di vertice legate al Cnas, a partire da Susanna Blume, a capo dell’ufficio “Cost Assessment and Program Evaluation”, meglio noto come “Cape”, già impegnato a rivedere i piani di spesa del dipartimento. Dal Cnas proviene anche Ely Ratner, che guida la task force dedicata alla Cina, lanciata proprio da Biden in occasione della sua prima visita al Pentagono.

IL BUDGET BASE

A inizio aprile, l’amministrazione Biden ha presentato al Congresso una richiesta da 753 miliardi di dollari per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti nell’anno fiscale 2022. Per il Pentagono ci sono 715 miliardi, undici in più rispetto all’anno in corso, sette in meno rispetto alle previsioni formulate da Donald Trump. L’aumento annuale è dell’1,6%, pressoché pari all’inflazione, con un aggiustamento che ha trovato l’apprezzamento di esperti e addetti ai lavori d’oltreoceano. Per ora è un apprezzamento preliminare, considerando che la richiesta riguarda il budget “top-line” (o “skinny”), non particolarmente dettagliato, senza le voci di spesa, in attesa della richiesta completa da presentare a Capitol Hill per dare il via al complesso iter parlamentare. Di solito ciò avviene a marzo, ricorda il report del Cnas, ma la complessa transizione da Trump a Biden ha rallentato il tutto.

LA FLESSIBILITÀ

Tra l’altro, notano le esperte del Centro, non è detto che la richiesta che verrà presentata al Congresso presenterà il solito minuzioso dettaglio circa le voci di spesa. La parola d’ordine potrebbe essere “flessibilità”, per affrontare poi il lavoro più approfondito nel processo di budget per il 2023. Una linea che troverebbe sostengo nell’eliminazione, già confermata, della voce “overseas contingency operations” nel bilancio 2020, voce dedicata alle operazioni fuori area, usata spesso dalle amministrazioni per aumentare le risorse disponibili oltre il budget di base. Nonostante riduca la possibilità di incrementare le dotazioni, spiega il Cnas, tale assenza potrebbe permettere nel medio-periodo di allineare meglio i bilanci alle pianificazioni strategiche.

IL CONFRONTO CON LA CINA

D’altra parte, anche senza le specifiche voci di spesa, il budget top-line permette di comprendere dove sta andando la Difesa Usa con Joe Biden. Secondo il rapporto del Cnas, c’è piena conferma del ritorno al confronto tra potenza, con la competizione con la Cina all’apice dell’agenda del Pentagono. Ciò si traduce nella conferma delle dotazioni della “Pacific Deterrence Initiative”, che nel budget relativo al 2021 vale 6,9 miliardi per due anni, addirittura rimpolpata nel percorso al Congresso rispetto alla richiesta iniziale avanzata dal Pentagono. Segue il rafforzamento dell’attenzione nell’Indo-Pacifico, già evidente nelle diverse uscite dei membri dell’amministrazione Biden. Per la Difesa americana, notano le esperte, ciò significa “dover modernizzare simultaneamente le forze convenzionali e nucleari per potenziare la capacità di deterrenza”. Il Cnas ricorda in tal senso le pressioni dello US Indo-Pacific Command, il cui ormai ex comandante Philip Davidson ha spiegato che, senza un rafforzamento della presenza militare nella regione, la Cina potrebbe attaccare Taiwan entro sei anni.

LA MISSILISTICA

L’esigenza di “fare di più con meno”, spiega il Cnas, porterà anche per questo gli Stati Uniti verso un approccio più determinato sulle capacità missilistiche che, a fronte di investimenti minori, possono garantire elevati potenziali di deterrenza. Il focus è in particolare su “lungo raggio” e “ipersonica”, così da coprire le aree minacciate dalla Cina e da superare le capacità Russa su A2/AD, l’anti-access/area-denial. In tal senso, le richieste provengono da tutte le Forze armate americane (Marines completi) e non è detto che l’amministrazione riesca a mettere ordine prima del 2023. Di conseguenza, finanziamenti potrebbero essere direzionati verso tutti i progetti in campo.

GLI ASSETTI NAVALI

Tra i maggiori punti interrogativi c’è il destino del corposo programma navale messo in campo da Donald Trump, il “Battle Force 2045”, con una Marina da 500 navi. “Sebbene la richiesta di budget affermi l’importanza della potenza marittima – nota il Cnas – si enfatizza lo sviluppo di un piano di costruzione navale a prezzi accessibili e di navi sottomarine e senza equipaggio”. Ciò, notano le esperte, “significa probabilmente meno unità da combattimento di superficie”. Il budget del 2021 rimandava all’anno successivo il finanziamento di sette nuove unità, compresi due sottomarini di classe Virginia e due cacciatorpediniere Aegis. Per rispettare gli obiettivi dalla “Battle Force 2045”, ci vorrebbero circa 28,8 miliardi di dollari l’anno da qui al 2025, circa il doppio della media storica per la Marina Usa, spiega il Cnas. Difficile che i numeri saranno confermati. Difficile, però, anche che il Pentagono rinunci al potenziamento della postura navale, vista la priorità al confronto nell’Indo-Pacifico. Il punto interrogativo resta, nota il Cnas.

LA SPINTA ALL’INNOVAZIONE

Ci sono invece pochi dubbi sul maggior focus da destinare all’innovazione e alle tecnologie Edt, emergenti e dirompenti. Tra i pochi dettagli presenti nella richiesta ci sono i fondi per potenziare i sistemi di sicurezza informatica: 550 milioni di dollari per il Technology Modernization Fund; ulteriori 110 milioni per la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency; 750 milioni come riserva per le altre agenzie federali impegnate sul tema. Austin ha promesso un accento più forte alla corsa tecnologica, nonché una strutturazione più rilevante delle tante iniziative improntante all’innovazione e alle tecnologie disruptive. C’è poi il procurement, alla prese con una riforma dei processi di acquisizione per adattare le pratiche burocratiche alla rapidità dell’innovazione. Stanno crescendo i contratti assegnati dalla Difesa alle BigTech, così come i programmi e le strutture dedicata all’intelligenza artificiale, tutto sintomo di un Pentagono più attento alla corsa tecnologica.

I RISPARMI

Eppure, pende su questo obiettivo una “storica tensione”, quella tra gli investimenti in ricerca e sviluppo, e l’esigenza di prontezza. Se i primi guardano al lungo termine per le forze future, la seconda riguarda “la disponibilità di unità per gli schieramenti e le operazioni correnti”. Spesso, ricorda il Cnas, la seconda ha distratto dai primi, togliendo risorse preziose a R&D. A tal proposito, spiegano le esperte, l’esigenza di prontezza resterà sicuramente, anche se ridotta, visto ad esempio il ritiro dall’Afghanistan che dovrebbe consentire un risparmio annuo di 14 miliardi di dollari. Poi, il Pentagono continuerà nel tentativo di risparmiare sui costi di mantenimento dei sistemi più datati, compreso il ritiro di alcuni assetti. Tuttavia, anche su questo c’è una difficoltà storica, nota il Cnas. Spesso le Forze armate hanno fatto fatica a ritirare sistemi che, seppur datati, sono spesso impegnati in scenari operativi. Nel budget 2022 difficilmente l’amministrazione Biden potrà affrontare il tema. Con maggior probabilità, il cambio di marcia arriverà nell’anno fiscale 2023.

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