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Non solo Br. Il filo che lega il terrorismo di matrice politica e jihadista

Di Stefano Dambruoso e Francesco Conti

Oggi nessun esperto considera più i diversi gruppi terroristici nella loro dimensione nazionale: il contrasto ai terrorismi è fisiologicamente europeo e transnazionale. L’analisi di Stefano Dambruoso, magistrato esperto di terrorismo internazionale, e Francesco Conti, master counter terrorism King’s College London

L’intelligence europea è in quotidiana attività di controllo su rischi provenienti dai seguaci del Califfato dopo la sua disfatta. Il Vecchio continente composto da Paesi, la maggior parte dei quali guidati da governi che si ispirano a principi di consolidata e risalente democrazia, lascerebbe però, grazie alle libertà riconosciute, la concreta possibilità di una ripresa di attività terroristica islamista con il rischio di connessioni con le attività già presenti e attuali di gruppi terroristici ideologicizzati, di destra e di sinistra. La recente vicenda dell’arresto in Francia di nove terroristi rossi, fra cui diversi ex brigatisti, ha riportato l’attenzione sul terrorismo di estrema sinistra e sull’importanza della cooperazione internazionale in materia di contrasto al terrorismo.

Sebbene appaiano lontani gli anni della violenza perpetrata in nome della ideologia di destra o sinistra, questa conflittualità ideologica è ancora presente nel nostro Paese, sia pur in forme non quotidianamente percepite. Secondo il più recente rapporto Europol sul terrorismo, l’estremismo di estrema sinistra nel Continente si concentrerebbe nell’Europa meridionale, soprattutto in Italia, Grecia e Spagna, con il nostro Paese primo per numeri di attacchi e per numero di arresti, 98 solamente nel 2019 (anche se la maggior parte arrestati per violenze ai danni delle forze dell’ordine per scontri nel corso di manifestazioni). Mentre negli Anni di piombo e sino a tutto il 2000 l’omicidio mirato o la gambizzazione sono stati attentati diffusi, oggi gli attacchi si concretizzano prevalentemente in danneggiamenti alla proprietà privata o pubblica, molto spesso con uso di ordigni rudimentali o con incendi dolosi, episodi rivendicati spesso da gruppi di ispirazione anarchica. Sia militanti di estrema sinistra che esponenti di area anarchica hanno anche recentemente combattuto fianco a fianco in Siria, dove si sono uniti alle milizie curde Ypg impegnate contro lo Stato islamico. L’aver partecipato a scontri armati può aver arricchito le loro abilità operative nell’uso di esplosivi e c’è il rischio che tale know-how venga trasferito a estremisti residenti nel nostro Paese. Come confermato dalla nostra intelligence, la lotta per l’indipendenza del popolo curdo contro il governo della Turchia è spesso utilizzata come propaganda, soprattutto sul web, per raccogliere nuovi adepti e nuove reclute. Oltre a cellule europee del Pkk, ancora presenti sul territorio pur se con livelli di attività minime, sul continente è presente anche il Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo, organizzazione terroristica di estrema destra turca che continua a utilizzare i Paesi europei per ottenere finanziamenti e supporto logistico. Negli scorsi anni diverse operazioni di polizia hanno portato ad arresti in molti Paesi, come per esempio in Austria, dove nel 2019 è stato arrestato un membro del Fronte raggiunto da mandato di arresto europeo emesso dalla Grecia. Un esemplare episodio, questo, di cooperazione giudiziaria internazionale in materia di contrasto al terrorismo.

Anche il terrorismo di destra ha visto un aumento della sua attività in Europa. Secondo il Global Terrorism Index, nello scorso anno gli attacchi attribuiti a gruppi di estrema destra sono notevolmente aumentati, con gli stessi estremisti di destra che si radicalizzano e passano all’azione sul modello del “lupo solitario” jihadista. Ma neonazisti e neofascisti sono anche in grado di costituire organizzazioni strutturate, come emerso da un’indagine delle Digos di Genova e Savona di inizio anno che ha portato allo smantellamento di Nuovo ordine sociale, gruppo ispirato all’ideologia neonazista, fortemente attivo sul web con membri disposti anche all’estremo sacrifico per la propria causa. Nuovo ordine sociale era in contatto con altri neonazisti all’estero e pertanto l’intelligence europea ha innalzato il livello di controlli. Le piattaforme di messaggistica online, utilizzate da terroristi di ogni ideologia politico-religiosa, sono sempre di più monitorate da parte della nostra Polizia postale e dall’intelligence. Nel caso delle indagini su Nuovo ordine sociale, il web si è rivelato fondamentale, dato che i membri del gruppo neofascista erano residenti in diverse regioni italiane e, non potendo sviluppare incontri personali, anche a causa delle misure restrittive anti Covid-19, avevano fatto largo uso di chat online.

Per quanto riguarda il jihadismo, dopo l’implosione territoriale del Califfato, i riflettori delle agenzie di intelligence europee sono puntati sull’area saheliana, dove organizzazioni terroristiche affiliate ad al-Qaeda o allo Stato islamico si contendono il controllo del territorio approfittando di deboli istituzioni governative e forze di sicurezza inefficienti. Attentati con vittime in doppia cifra (sia fra i civili che fra i militari) sono all’ordine del giorno in Paesi come Mali, Niger e Nigeria. Anche in Africa si assiste alla grande dicotomia fra la strategia dei gruppi affiliati all’organizzazione guidata dall’emiro Ayman Al Zawahiri e quelli che si rifanno all’esperienza del Califfato. Mentre le organizzazioni qaediste preferiscono un approccio più metodico e per certi versi “moderato”, cercando di guadagnare il supporto della popolazione locale, quelle fedeli a Daesh continuano invece con una politica di intransigente applicazione della shari’a nelle loro aree di influenza. Nel Sahel, la sigla Jnim (Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin), che include diverse organizzazioni eterogenee che operano dalla Tunisia al Sahel più meridionale, raggruppa i gruppi fedeli ad al-Qaeda, prende di mira principalmente le forza di sicurezza locali, le truppe francesi presenti nelle operazioni di counterinsurgency sotto l’egida dell’Operazione Barkhane e infine anche le truppe Onu della missione Minusma (che contiene numerosi contingenti di Paesi africani). Invece, Isgs (Islamic State in the Greater Sahara) affiliato di Daesh che secondo il Consiglio di sicurezza Onu mantiene stretti contatti con la casa madre in Medio Oriente, continua a compiere stragi di civili, attaccando indiscriminatamente villaggi e mezzi di trasporto pieni di comuni cittadini, come dimostrato dai recenti attentati degli scorsi mesi, che hanno già causato morti in tripla cifra.

Ciò che per gli analisti accomuna i tre tipi di terrorismo (di estrema destra, estrema sinistra e jihadista) è la loro continua attività di proselitismo, sia sulla rete che in carcere. Internet sta diventando sempre più un luogo fondamentale dove fare attività di reclutamento, arrivando fino a sostituire le moschee radicali o i centri sociali. Durante la pandemia di Covid-19, organizzazioni terroristiche di ogni ideologia hanno aumentato la loro presenza online, cercando di approfittare dell’aumento dell’uso della rete da parte della popolazione, soprattutto dei più giovani. Anche le carceri sono diventate un luogo chiave per la propaganda terroristica, dato che il terrorismo di ogni risma può contare su importanti esponenti fra i detenuti. La convivenza carceraria fra criminali di professione e estremisti ideologici, consente ai primi di trasferire le loro abilità operative (sull’uso di armi da fuoco, documenti falsi, tecniche di finanziamento) ai condannati per reati di terrorismo; mentre i secondi possono operare per radicalizzare i criminali. Già nel 2019, il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo aveva segnalato preoccupazioni su affiliati alla mafia nigeriana detenuti nelle nostre carceri perché possibili destinatari di iniziative di radicalizzazione e di reclutamento da parte di Boko Haram o di altri gruppi jihadisti. Nonostante sia provato che l’equivalenza fra immigrazione clandestina e terrorismo è erronea, il report 2021 di ReaCT, importante laboratorio di analisi specializzato sui terrorismi, ha evidenziato come vi sia stato un aumento del numero di terroristi residenti in Europa come immigrati irregolari, con cifre che si attestato al 16% dei terroristi profilati (il numero sale al 33% nel caso della Francia). Per tale motivo, l’attività di stabilizzazione del Sahel successiva alla sconfitta dei gruppi jihadisti locali, è di importanza fondamentale anche per il profilo securitario del nostro Paese, una delle destinazioni principali dei traffici illeciti che arrivano dall’Africa. Il contributo militare italiano nel Sahel, come confermato anche dal ministro della Difesa, ha lo scopo ultimo di aumentare la sicurezza dell’intero bacino del Mediterraneo, e quindi dell’Europa stessa. L’intelligence europea ha per questo oggi incrementato le proprie attività sul continente africano. E, seppur maturata in un contesto assai diverso, l’esperienza acquisita negli anni passati sui rischi provenienti da quelle aree può tornare di grande utilità.

Come si è ricordato nelle ultime settimane, durante gli Anni di piombo, la dottrina Mitterand rendeva di fatto impossibile per le autorità italiane ottenere l’estradizione dei terroristi di sinistra rifugiatisi in Francia, poiché il governo francese non riteneva legittime le norme di natura speciale che erano state introdotte dal nostro Paese per combattere il terrorismo, contenute nel dl. 59/1978. Ma in quegli anni anche i terroristi palestinesi operanti nel nostro Paese potevano contare su “sponde amiche” dove rifugiarsi. Il leader libico Muammar Gheddafi sosteneva apertamente i terroristi che agivano in nome della causa palestinese. Il rais accolse per esempio uno degli autori dell’attentato alla sinagoga di Roma del 1982. Il regime libico forniva anche supporto a gruppi terroristici europei, fra cui l’Ira e le stesse Brigate rosse, supporti che fecero considerare la Libia quale “State sponsor of terrorism” dal dipartimento di Stato americano alla fine degli anni Settanta. Gruppi terroristici potevano all’epoca contare anche sul supporto del regime Ba’ath di Saddam Hussein, che oltre a proteggerli dalle investigazioni e dalle operazioni delle intelligence occidentali, forniva supporto diretto mediante la messa a disposizione di campi di addestramento e supporti economici.

La risposta preventiva europea è senz’altro cresciuta grazie al rafforzamento della cooperazione fra polizie, intelligence e magistrati. Il mandato di arresto europeo consente a uno Stato membro di richiedere a una sua controparte l’arresto o la consegna di una determinata persona sotto custodia in tempi relativamente brevi. Per esempio, Salah Abdeslam, membro della cellula terroristica che seminò il terrore a Parigi il 13 novembre 2015, venne estradato in Francia poco più di un mese dopo la sua cattura in Belgio, dove si era rifugiato. Per i reati più gravi viene inoltre meno il requisito della “doppia incriminazione” – requisito tradizionalmente richiesto da trattati o da accordi di estradizione – sostituito oggi dal principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie circostanza che riduce di molto i tempi della cooperazione superando le lungaggini che avevano caratterizzato le estradizioni dei tempi passati. Il mandato di arresto europeo riflette ormai la reciproca fiducia che esiste fra gli Stati membri e le rispettive decisioni giudiziarie, subordinando la validità della richiesta di consegna solamente a una valutazione del rispetto delle condizioni giuridiche ed escludendo motivazioni di carattere politico, tutto senza intaccare le tutele difensive spettanti agli individui sotto custodia. Interpol poi mette a disposizione degli Stati membri le cosiddette red notice, richieste di arresto per criminali in fuga o per latitanti condannati in contumacia.

Nonostante la stessa Interpol (che conta 194 Paesi membri) specifichi come non siano equiparati a veri e propri mandati di arresto a carattere internazionale, sono comunque uno strumento utile per la cooperazione internazionale in materia di contrasto al terrorismo. Oggi nessun esperto considera più i diversi gruppi terroristici nella loro dimensione nazionale: il contrasto ai terrorismi è fisiologicamente europeo e transnazionale.


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