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Clima, quell’assist di Kerry a Draghi. Scrive Clini

Dopo gli incontri di Shanghai con il governo cinese, l’inviato speciale Usa John Kerry sceglie l’Italia per la strategia americana sul Clima. La presidenza italiana del G20 è un’occasione che Draghi può e deve cogliere. L’analisi di Corrado Clini, già ministro dell’Ambiente

Tenere vivo l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi, vuol dire che ogni paese deve ridurre le emissioni in questo decennio” – ha dichiarato venerdì  John Kerry a conclusione dell’incontro con Roberto Cingolani che ha sottolineato l’urgenza di affrontare le sfide “del presente e gli impegni che ci aspettano nei prossimi mesi in relazione a G20 e COP 26”.

Questa è la sfida. La fattibilità degli obiettivi di medio e lungo termine per l’azzeramento delle emissioni è largamente dipendente dalle scelte e dalle misure che verranno adottate nei prossimi mesi. E il G20 ha le “chiavi” per indicare e praticare la strada della decarbonizzazione dell’economia. È stato dunque importante l’incontro di Roma, focalizzato sulla ricerca di un percorso possibile per una auspicabile piattaforma comune del G20 per la transizione energetica.

I paesi del G20 sono responsabili dell’80% delle emissioni. In particolare Cina (27%), Usa (15%), Unione Europea(9,8%), India(7%), Russia (5%) sono responsabili di oltre il 60%. Mentre i cittadini di Usa, Canada, Australia, seguiti di quelli della Russia, hanno consumi di energia prodotta da combustibili fossili  (emissioni procapite)  fino a 3 a volte superiori alla media mondiale, e in particolare fino a 10 volte  quelle di India e Indonesia e il doppio di  Cina e Unione Europea.

I numeri del G20 danno offrono un’immagine molto chiara della dimensione della sfida della decarbonizzazione e delle differenze/ineguaglianze tra le grandi economie : se da un lato è urgente la convergenza  “politica e programmatica” verso  la fine della dipendenza dell’economia mondiale dai combustibili fossili, dall’altro è necessario che i percorsi della transizione energetica   siano coerenti con l’obiettivo  pur nella diversità delle “circostanze nazionali” di accesso ai servizi energetici e dei modelli di consumo.

La convergenza “politica e programmatica” è un dato acquisito, almeno per  i più importanti paesi del G20. Unione Europea, Usa, Giappone, Gran Bretagna, Canada, Corea, hanno assunto impegni unilaterali per la decarbonizzazione entro il 2050, con l’obiettivo intermedio della riduzione di oltre il 50% delle emissioni entro il 2030-2035. La Cina ha confermato l’impegno di ridurre le proprie emissioni a partire dal 2025-2030, con il loro azzeramento entro il 2060. L’India sta valutando la fattibilità della decarbonizzazione della propria economia entro il 2050-2060, mentre ha confermato l’obiettivo della riduzione del 35% delle emissioni entro il 2030.

La transizione energetica è un percorso a ostacoli, perché molti punti di partenza sono diversi e differenti sono le risorse e le infrastrutture energetiche che devono essere modificate verso la decarbonizzazione.

È certamente un dato di base comune la crescita delle fonti rinnovabili in tutte le economie. Nell’ultimo anno le fonti rinnovabili hanno coperto il 90% degli investimenti  globali nell’energia, superando gas naturale, olio e carbone.

Solo la Cina ha realizzato 120 nuovi GW, quasi la metà del totale, mentre negli Usa è stata realizzata nuova capacità per circa il 10% del totale. L’India ha avviato un programma per realizzare 450 GW entro il 2030. Mentre in Gran Bretagna è in fase di finanziamento un mega progetto per produrre in Marocco 10 GW di elettricità da fonti rinnovabili da trasferire con un cavo elettrico sottomarino ad altissimo voltaggio e a corrente diretta lungo 3.800 km.

Ma la Cina, che investe più sulle rinnovabili, è anche l’economia che consuma la metà del carbone mondiale per la generazione di elettricità, e dal 2025 è previsto l’avvio della  chiusura progressiva di 600 impianti di produzione di elettricità, che saranno sostituiti da fonti rinnovabili, nucleare e gas naturale (Lng in particolare). Ha dimensioni diverse, ma è analogo il percorso dell’India, altro grande consumatore di carbone. Dunque nella transizione di Cina e India il carbone sarà un combustibile di transizione in declino, mentre nucleare e gas naturale sono destinati ad essere il “back up” delle fonti rinnovabili.

La transizione energetica in Europa sarà diversa, certamente per il carbone che è destinato alla fine mentre è ancora incerto il destino nel decennio del gas naturale, che potrebbe essere di supporto allo sviluppo delle rinnovabili ed alla produzione di idrogeno ma con molte limitazioni. Per quanto riguarda il nucleare la Francia continua a sottolinearne la necessità  per la decarbonizzazione, ma questa ovvia constatazione tecnica ed economica incontra l’opposizione di molti paesi e di molte compagnie energetiche.

La transizione negli Usa, secondo quanto anticipato dal presidente Biden, dovrebbe essere caratterizzata da un declino significativo del carbone fino alla sua eliminazione entro il 2035, contestuale ad un forte aumento delle fonti rinnovabili ed alla conferma del ruolo del nucleare. Anche negli Usa, come in Europa, è in discussione il  gas naturale anche tenendo conto del ruolo acquisito dagli Usa negli ultimi anni come principale esportatore di Lng.

È evidente che il contesto delle opzioni per la transizione energetica non è solo quello ambientale, ma è ovviamente  caratterizzato dalle considerazioni strategiche sulla sicurezza energetica delle singole economie; dalle prospettive  di imprese multinazionali e nazionali e degli impatti della transizione sulle attività in corso e sull’occupazione; dalla “flessibilità” delle infrastrutture per la distribuzione e l’accesso ai servizi energetici nei singoli paesi.

Nonostante le diversità dei percorsi, l’urgenza condivisa da Italia e Usa di “tenere vivo l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale sotto 1,5 gradi”  richiede di rafforzare o ricostruire una trama di cooperazione e condivisione globale per favorire la convergenza dei percorsi della transizione verso l’obiettivo comune. Compito difficile della presidenza italiana del G20, ma forse una delle ultime occasioni.

Ricordo che gli incontri di Kerry con la presidenza italiana del G20 sono successivi al meeting di Shanghai con il governo cinese di metà aprile. In quella occasione Kerry disse che la cooperazione con la Cina è cruciale( “absolutely critical” ) per affrontare la sida dei cambiamenti climatici, che devono essere affrontati separatamente (“climate has to stand alone”) dalle grandi divergenze con la Cina su molte questioni.

Kerry ha “alzato la palla”. Adesso tocca alla presidenza del G20 andare in rete.

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