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Come sarà il management post pandemico

Di Paolo Bruttini

Nel mese di marzo sono stati presentati i risultati della ricerca Open Mood sulle caratteristiche dei nuovi manager, chiamati a muoversi in questo scenario del tutto nuovo. Si tratta di un lavoro svolto sotto l’egida di Fondirigenti, il fondo che promuove le attività di formazione continua dei dirigenti italiani, da CIS, SFC e Forma del Tempo, a partire dal luglio 2020. L’intervento di Paolo Bruttini, socioanalista, partner di Forma del Tempo, ricercatore sui modelli manageriali

La pandemia ci ha confermato una cosa che ben sapevamo, ovvero l’importanza di essere guidati da una classe dirigente all’altezza delle sfide epocali che stiamo affrontando. Infatti, abbiamo osservato quanto sia stata importante la capacità di tenere i nervi saldi nella situazione drammatica dell’emergenza, la capacità di aprirsi alle opinioni degli esperti senza tuttavia abdicare al ruolo politico, ed ora, nella fase di vaccinazione, la capacità di pianificare il lavoro di migliaia di persone per somministrare in fretta i vaccini al maggior numero possibile di connazionali.

La pandemia certo, prima o poi, finirà e questo Paese dovrà affrontare la sfida di una innovazione che, citando Floridi, sia al tempo stesso Green, nel segno della sostenibilità, e Blue, digitale. Abbiamo visto come il disegno del Recovery Plan abbia già procurato una crisi di governo e la sua attuale messa a punto stia producendo molte fibrillazioni. Quale leadership sarà necessaria per affrontare questo scenario? Quali sono le competenze che ci aspettiamo e che dobbiamo formare, nei manager Blue and Green?

LA RICERCA DI OPEN MOOD

Nel mese di marzo sono stati presentati i risultati della ricerca Open Mood sulle caratteristiche dei nuovi manager, chiamati a muoversi in questo scenario del tutto nuovo. Si tratta di un lavoro svolto sotto l’egida di Fondirigenti, il fondo che promuove le attività di formazione continua dei dirigenti italiani (80.000 manager di 14.000 aziende), da CIS, SFC e Forma del Tempo, a partire dal luglio 2020. La parola chiave è Open – Apertura.

OPEN LEADERSHIP

Fin dai tempi della diaspora software-proprietario, software-aperto ci confrontiamo con la prospettiva di liberare i diritti, mettere in discussione la proprietà, moltiplicare le opportunità di partecipazione e di condivisione al di là del principio gerarchico. La crisi di Lehman Brothers del 2008 ha portato alla crisi dei modelli di leadership post trasformazionali, carismatici. Come fidarsi di una leadership senza contrappesi, esposta alle lusinghe del potere, accecata dalla superbia del proprio talento, così velocemente obsoleta nei contesti velocissimi in cui operiamo?

Una nuova generazione di modelli Open e di figure simbolo sono andate emergendo in questi anni all’insegna dell’etica, dell’autenticità, della valorizzazione dei collaboratori (al punto che si parla di servant leadership) e delle dinamiche auto-organizzative. Basti pensare ai casi nella società civile in cui una comunità di cittadini si organizza per gestire uno spazio collettivo, oppure a una scuola che, senza il direttore, vede l’insegnante chiamato a svolgerne le funzioni, condividere le responsabilità con i colleghi, oppure una società di software che funziona leaderless.

OPEN INNOVATION

Un secondo filone interessante è rappresentato dalla prospettiva dell’Open Innovation. Studi molto importanti hanno suggerito il valore di un’innovazione non più solo interna, proprietaria, sviluppata da eserciti di ingegneri in camice bianco. Piuttosto aperta, di ecosistema, in cui start up, centri di ricerca, Università, professionisti, altre imprese partecipano ad un obiettivo comune, condividendo risorse. Che senso ha la competizione, pensare per sé, quando è evidente che le risorse in nostro possesso non saranno sufficienti per sviluppare la tecnologia che ci serve, oppure per accedere a nuovi mercati? Non è meglio essere Open? La ricerca Open Mood ha messo insieme questi due mondi: una leadership interna, democratica, etica, di servizio, persino eterarchica (non gerarchica); una esterna orientata all’innovazione attraverso e insieme all’ecosistema rivedendo il concetto di proprietà e sposando quello di condivisione.

I RISULTATI

Per arrivare a descrivere e caratterizzare questa nuova figura manageriale sono stati coinvolti 383 manager appartenenti a oltre 300 aziende. Prima è stato somministrato loro un  questionario (dividendoli in gruppo sperimentale e gruppo di controllo) e poi sono state fatte decine di interviste, analizzate anche attraverso un software di analisi psicolinguistica. I risultati?

I manager Open hanno 5 fattori.

  1. Positive expansion. Una dimensione che si fonda su relazioni di fiducia (verso sé e verso altri), predisposizione al cambiamento continuo e orientamento al business.
  2. Peer leadership. Coinvolgere i collaboratori nelle decisioni, puntare a farli crescere, privilegiare la cooperazione al dominio, valutare l’impatto su altri delle proprie decisioni
  3. Pro agonism. Un’azione manageriale focalizzata sul sapere tecnico, l’autogestione dei collaboratori, la spinta competitiva
  4. Innovation purpose. Visionarietà, velocità, equilibrio nel ponderare le situazioni, ricerca dell’armonia (più che dei conflitti).
  5. Evolution drive. Dedicare tempo all’apprendimento e alla crescita attraverso l’analisi dell’esperienza. Autocritica. Supporto ai collaboratori per il cambiamento.

Conclusioni

A che punto siamo oggi rispetto a questi fattori? Il quadro è ovviamente molto variegato. Il lavoro fatto (rimandiamo chi è interessato alla lettura del report di ricerca e alla compilazione del questionario validato di autovalutazione dell’Open Manager) ha suggerito un approccio multidimensionale. È evidente che la openness si esprime in modi diversi nella sede italiana di una multinazionale americana, in un media azienda innovativa nella pianura padana, in un grande impresa di software del sud oppure in una piccola impresa veneta. Ogni contesto richiede di privilegiare le proprie specificità e non si vuole dare una lista delle virtù. Ma un tratto è comune. L’idea che esista un mondo nuovo (gradito a millennial e Z-gen) fiducioso, collaborativo, etico e sostenibile, per realizzare il quale bisogna mettere da parte il cinismo e nutrire la speranza.

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