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Phisikk du role – Di Maio e la pedagogia democratica delle istituzioni

Sulla vicenda dell’ex sindaco di Lodi, Uggetti, il ministro degli Esteri ha chiesto scuse pubblicamente, esercitando una leadership di fatto sul Movimento post-antagonista. La scelta politica del giornale dove è stata pubblicata la lettera e il contenuto del messaggio. Il corsivo di Pino Pisicchio

Com’era prevedibile ha fatto discutere la lettera del ministro degli Esteri al Foglio sulla vicenda dell’ex sindaco di Lodi, Uggetti, a cui finalmente viene restituita onorabilità giudiziaria dopo l’onta di accuse infamanti da parte dei magistrati inquirenti e di attacchi ad alzo zero da parte del cosiddetto “partito dei giustizialisti” che gode da sempre di cospicue falangi di supporter in Parlamento, in prima fila di fede pentastellata.

Di Maio, di fronte all’esito processuale della vicenda, che aveva visto i suoi particolarmente aggressivi nei confronti dell’accusato, ha chiesto pubbliche scuse. Il gesto sarebbe apparso sano in sé anche se fosse stato confezionato via Twitter o Facebook, con burocratica stringatezza. Ma Di Maio ha fatto di più: ha preso carta e penna e ha organizzato un pensiero, non un telegramma di circostanza, scegliendo un medium specifico che rappresenta in se’ un messaggio. Il Foglio, infatti, è una testata atipica, che sollecita non l’emozionalità del lettore, né l’abitudine, e neppure i suoi basic instinct: punta alla riflessione, attraverso una scrittura articolata e non ruffiana, senza concessioni alla forma graziosa, ma con l’ambizione di offrire spesso un pensiero divergente e fuori dal coro. Comunque mai banale. Una testata “non amica” dei Cinque Stelle, che, se proprio la si vuole catalogare, si inquadra nel versante di una visione rigorosa della liberal-democrazia e del garantismo. Dunque la scelta del giornale è già un fatto politico.

E il contenuto del messaggio lo è ancora di più. Si tratta di un passaggio all’età adulta di una esperienza politica che, nata come antagonista raccogliendo gli istinti sparsi per l’Italia opposti al potere di chi era al governo, compie prima la traversata del deserto nelle istituzioni parlamentari, per poi diventare essa stessa forza di governo. L’esperienza parlamentare della passata legislatura fu decisiva per la crescita del Movimento: si può dire quel che Orazio raccontava dei Romani conquistatori della Grecia ma da questa, alla fine, conquistati: “Graecia capta ferum victorem cepit”. Il parlamento non solo non fu una scatoletta di tonno, ma ebbe addirittura una funzione pedagogica nei confronti del Movimento, lasciandosi percepire come “il luogo” della democrazia rappresentativa, il che, per chi aveva sventolato le bandiere casaleggiane della democrazia diretta come obiettivo finale, non fu cosa da poco.

Di Maio attraversò la legislatura rivestendo il ruolo istituzionale più alto e più vicino al cuore della procedura democratica parlamentare: quello di vice-presidente della Camera. L’approdo al governo fu una evoluzione di questo percorso che oggi vuole segnare una cesura netta e, politicamente significativa, con la stagione del giustizialismo. Nel destino forse divergente della platea parlamentare del Movimento, Di Maio ha messo in tavola le sue carte, esercitando una leadership di fatto sul Movimento post-antagonista. L’ha fatto da politico, come si diceva una volta, “consumato”. A lui, però, diremo “avveduto”, visto che a luglio farà solo 35 anni.

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