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Ericsson e la diplomazia coercitiva cinese

Di Ludovica Meacci

La Cina spinge la narrativa sui media controllati e la diplomazia coercitiva per portare avanti i propri interessi. Il caso Ericsson e la Svezia analizzati dalla sinologa Ludovica Meacci

Con un articolo dai toni poco velati, il tabloid pubblicato sotto gli auspici del Partito comunista cinese Global Times ha rivelato nei giorni scorsi che la Svezia si trova di fronte all’ultima occasione per cambiare il destino di Ericsson nel mercato cinese: la compagnia di Stoccolma è stata invitata dagli operatori di telecomunicazioni cinesi a partecipare ai test per le apparecchiature 5G. Questo invito però non garantisce a Ericsson un ruolo nella costruzione del network di quinta generazione di Pechino, a meno che Stoccolma non decida di “riconsiderare attentamente le sue politiche sulla Cina”.

Tutto inizia nell’ottobre 2020, quando l’autorità per i servizi postali e le telecomunicazioni di Stoccolma (PTS, nell’acronimo svedese) rilasciava le condizioni per la partecipazione alle aste perl’assegnazione delle frequenze dell’infrastruttura 5G. In seguito alle valutazioni delle forze armate e dei servizi segreti svedesi, la PTS ha vietato esplicitamente l’utilizzo di apparecchiature dei colossi Huawei e ZTE nelle nuove installazioni per le funzioni centrali del network di quinta generazione, imponendo poi la graduale eliminazione delle componenti cinesi dalle infrastrutture preesistenti entro il 1 gennaio 2025.

Con questa delibera la Svezia ha adottato una linea più sfrontata, distaccandosi dagli approcci più timidi degli altri Stati membri che hanno preferito sottolineare le questioni di sicurezza nazionale associate ai venditori “ad alto rischio”, in linea con il toolbox della Commissione europea, invece di menzionare apertamente le compagnie cinesi.

Le reazioni non si sono fatte attendere. A gennaio 2021 Pechino ha infatti messo in chiaro che la Cina adotterà “tutte le misure necessarie” per salvaguardare gli interessi legittimi delle sue aziende, sostenendo che la decisione della PTS aveva violato i principi alla base dell’Organizzazione mondiale del commercio.Sebbene Pechino non abbia annunciato un target per queste misure è facile immaginare che uno dei bersagli possa essere la svedese Ericsson, una delle poche compagnie straniere di telecomunicazioni ad operare nel mercato cinese da cui ricava circa l’8% dei profitti.

Indiscrezioni pubblicate dal quotidiano locale Dagens Nyheterrivelano infatti uno scambio di messaggi tra il CEO di Ericsson Ekholm e la Ministra per il commercio Hallberg, dove l’amministratore delegato chiedeva al governo di “parlare” con la PTS, preoccupato per le possibili ripercussioni sul giro d’affari. Qualcosa deve essersi poi mosso, perché Ericsson ha addirittura iniziato a schierarsi pubblicamente contro le decisioni del governo svedese facendo il verso alle dichiarazioni di Pechino, sottolineando l’importanza di depoliticizzare il dibattito su Huawei e di separare i temi commerciali da quelli politici al fine di evitare un ritardo nell’implementazione del 5G.

Queste dinamiche si inseriscono nei rapporti già tesi tra Stoccolma e Pechino, ma non riguardano solamente la relazione bilaterale tra i due paesi. Dall’assegnazione del premio Nobel per la pace al dissidente Liu Xiaobo nel 2010 che ha determinato la restrizione sugli importi di salmone norvegese insieme alla sospensione dei rapporti diplomatici tra Oslo e Pechino, fino al più recente boicottaggio dei prodotti del colosso dell’abbigliamento svedese Hennes&Mauritz riguardo la sua decisione di non utilizzare il cotone proveniente dallo Xinjiang, la Cina non ha mai nascosto la volontà di proteggere ciò che considera i suoi interessi chiave.

La diplomazia coercitiva cinese ha come fine ultimo quello di salvaguardare gli interessi di Pechino, incluso l’utilizzo di apparecchiature Huawei nelle infrastrutture 5G a livello globale, manipolando se necessario l’ambiente politico nei contesti democratici e proteggendo simultaneamente i propri confini da interferenze esterne.

Facendo leva sul suo mercato interno e agitando potenziali “conseguenze”, la Cina intende fare pressione su terze parti, spesso singole compagnie, affinché facciano lobby nei governi stranieri perché venga invertita la rotta di quelle politiche non gradite, come nel caso della svedese Ericsson o del settore automobilistico tedesco alla vigilia della legge sulla sicurezza cibernetica.

Le aziende che entrano nel mercato cinese sono quindi potenzialmente esposte alle dinamiche coercitive di Pechino e rischiano di pagare il prezzo di un’interdipendenza che la Cina non nasconde di poter e voler politicizzare. L’utilizzo di queste pratiche coercitive da parte di Pechino è aumentato negli ultimi anni, ma il loro impiego non ha quasi mai sortito gli effettidesiderati. Rimane comunque importante che ci sia una maggiore consapevolezza dei rischi connessi ad un rapporto sbilanciato con la Cina, che è interessata a interferire nella definizione delle politiche democratiche che vanno contro i suoi interessi, con le buone o con le cattive.

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