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Vi racconto l’Italia di Fedez (e del parla parla)

Fulvio Giuliani racconta l’Italia di Fedez, che non accetta censure figlie della paura e dei funzionari più realisti del re, e urla dal palco la sua indignazione sociale per le resistenze sorde e palesi al Ddl sull’omofobia. Ma non solo…

Ci sono da tempo immemore due Paesi, in Italia. Quasi due categorie di pensiero e sentire. Inconciliabili e distanti. L’Italia dei Figliuolo, che dice una cosa e la fa. Non “incredibilmente”, ma perché è normale che funzioni così. 500.000 dosi di vaccino al giorno dovevano essere e 500.000 sono stati. Punto di partenza, non di arrivo. L’Italia di Fedez, che non accetta censure figlie della paura e dei funzionari più realisti del re e urla dal palco la sua indignazione sociale per le resistenze sorde e palesi al Ddl sull’omofobia.

C’è però, ingombrante, melliflua, servile, l’Italia che a Figliuolo oppone la sfiducia atavica, la critica vuota e parolaia. Tutto, pur di non lavorare. L’Italia dei funzionari Rai, quasi una categoria antropologica, terrorizzati che i loro referenti politici possano decretare la fine del loro posto di lavoro.

L’Italia della telefonata registrata da Fedez è un compendio del perché la Rai andrebbe privatizzata all’istante. Ieri, non oggi. Un paese che ci mette una manciata di ore ad abbandonare gioiosamente il vero tema di discussione, per interrogarsi pensoso sul perché il rapper abbia reso pubblica una telefonata più o meno privata. Ancor prima, perché abbia deciso di registrarla. Quasi irresistibile, per quell’Italia, crogiolarsi nell’idea di complotti e disegni antiestablishment, pur di non vedere, non sentire, parlare solo di ciò che piace. Cosa vorrà mai questo rapper e marito di, perché mai dovrà incaponirsi in un dibattito da talk show, riservato agli attori e alle comparse di sempre.
È però anche L’Italia del “concertone” del 1’ maggio, salvato dallo stesso Fedez, una messa cantata rimasta la stessa dell’autocompiaciuta riserva indiana dei tempi di Berlusconi. Fuori tempo massimo.
Molto simile all’Italia che fa finta di non capire che la critica al politicamente corretto di Pio e Amedeo (due professionisti nati dalla gavetta vera e ragazzi per bene) è corrosiva come deve essere la satira, ma onesta e bruciante. Perché vera.

Troppi si nascondono dietro il politically correct, pur di non affrontare il nocciolo dei problemi. L’Italia fenomenale a chiacchiere, poca cosa nella pratica quotidiana. È il paese che purtroppo conosciamo bene, rumoroso e inconcludente. Prendiamo due dei temi cari proprio al politicamente corretto: lavoro e diversità di genere e orientamento sessuale. L’Italia che parla, parla, ma non cambierebbe mai nulla del lavoro di donne e giovani, perché finirebbe per toccare tutele e privilegi che nessuno ha voglia di mettere in gioco per aiutare chi ha assorbito l’80% dei contraccolpi della pandemia.

Sono gli stessi che amano la diversità, purché non si azzardi a entrare in casa propria.

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