In un clima di così grande tensione emotiva auto-alimentato dai media si rischiano di perdere i contorni dei fatti e delle gravi responsabilità che li hanno causati cedendo a un sentimento collettivo di desiderio di “vendetta” nei confronti dei presunti responsabili prima ancora di qualsiasi esito giudiziario
Chi come me vive ed è cresciuto nelle cittadine intorno al Lago Maggiore, quanto è avvenuto domenica scorsa con lo schianto della funivia Stresa-Mottarone continua ad essere un incubo.
Era una giornata bellissima, limpida e piena di sole, la prima di libertà dopo il Covid: impensabile che sia finita con questa tragedia e appare incredibile la serie di responsabilità che sembra l’abbiano causata.
Un dolore profondo per le vittime, l’incredulità, la vergogna – quasi – per non essere stati in grado di evitarla con la intima consapevolezza del dolore provocato e delle conseguenze sul turismo locale, ma – prima di tutto – questa partecipazione profonda e vera, piena di tristezza, per un evento che ha travolto tutti, un dolore che non passa.
Due soli punti d’orgoglio: la tempestività nei soccorsi con l’evidente preparazione di chi è intervenuto subito per salvare almeno il piccolo Eitan e la celerità e lo scrupolo delle indagini, con un grazie doveroso quindi per i tanti volontari impegnati e alle Forze dell’ordine, oltre a chi sta indagando con estrema serietà.
Forse perché mancano argomenti di cronaca post-Covid, su questa tragedia si è però innestata però anche una sorta di gogna mediatica che appare andare al di là della logica, trasformandosi in un vero e proprio show.
Il risultato è che troppe persone che vogliono salire sul Mottarone “per andare a vedere” quasi in un macabro rituale per una tragedia che ancora dopo una settimana è “coperta” da decine di inviati alla ricerca di ogni aspetto sensazionalistico più o meno veritiero.
Il carcere di Verbania circondato da giorni dalle troupe televisive, il tono enfatico ed esagerato di alcuni commenti con un aggiornamento costante dello sviluppo delle indagini, le interviste su ogni minimo dettaglio della tragedia con persone che non hanno alcun rapporto con essa e che sembrano dichiarare di tutto per il solo gusto di apparire, ha spostato i termini del problema.
In un clima di così grande tensione emotiva auto-alimentato dai media si rischiano di perdere i contorni dei fatti e delle gravi responsabilità che li hanno causati cedendo a un sentimento collettivo di desiderio di “vendetta” nei confronti dei presunti responsabili prima ancora di qualsiasi esito giudiziario.
È giusto che a motivazione della richiesta della detenzione in carcere degli imputati da parte dalla procura di Verbania, titolare delle indagini e che si è mossa con grande impegno e competenza, venga tirata in ballo proprio la risonanza della vicenda, il suo impatto feroce con la sensibilità dell’opinione pubblica?
Un clamore che, però, dipende proprio dall’aggiornamento costante di ogni fase dell’indagine dall’avidità con cui la stampa si è lanciata sull’ennesima storia da usare e poi dimenticare, stabilendo già senza appello, i nomi dei colpevoli e le loro responsabilità.
Un atteggiamento più da caccia agli “untori” che da ricerca seria delle singole responsabilità che evidentemente sono diverse e complesse a seconda del ruolo che ciascun imputato ha nella vicenda.
Nulla va nascosto, ma mi chiedo che serenità d’animo possa avere qualsiasi magistrato che deve convalidare un arresto quando il “processo” mediatico ha già sentenziato le colpevolezze: quanti di loro oserebbero sfidare la pubblica opinione?