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Un meccanismo G7 anti fake news? Ecco da dove partire secondo Pellegatta (Atlantic Council)

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Tre considerazioni e altrettante domande sulla proposta britannica di un meccanismo di risposta alla propaganda russa e cinese. L’analisi di Anna Pellegatta, associate director del Digital Forensic Research Lab dell’Atlantic Council

Difendere le democrazie dalle minacce globali poste da Paesi come Cina e Russia. È la promessa con cui il ministro degli Esteri britannico Dominic Raab ha inaugurato i lavori della ministeriale G7 in corso a Londra. “La presidenza britannica del G7 è un’opportunità per riunire le società aperte e democratiche e dimostrare la loro unità, in un momento in cui è necessario affrontare sfide condivise e crescenti minacce”, si legge in un comunicato della diplomazia britannica.

Intervistato dall’agenzia Reuters, il ministro Raab ha anche proposto uno strumento di risposta alla propaganda della Russia: “Meccanismo di confutazione rapida: quando vengono diffuse bugie, propaganda o notizie false possiamo reagire insieme e ripristinare la verità non solo per la gente di questo Paese, ma anche in Russia e Cina”.

Una proposta arrivata a pochi giorni dal report su disinformazione e Covid-19 del Servizio di azione esterna dell’Unione europea che sottolineava come Mosca e Pechino “continuano a promuovere in modo intenso i propri vaccini in tutto il mondo” e che la loro “diplomazia del vaccino segue una logica di gioco a somma zero” con un’azione di “disinformazione e manipolazione per minare la fiducia nei vaccini prodotti in Occidente, nelle istituzioni dell’Unione europea e nelle strategie di vaccinazione dell’Europa occidentale”. “Sia la Russia che la Cina”, si legge ancora, “utilizzano i media controllati dallo Stato e i social media, inclusi account diplomatici ufficiali, per raggiungere questi obiettivi”.

Secondo Anna Pellegatta, associate director del Digital Forensic Research Lab dell’Atlantic Council, “ogni tipo di impegno – più o meno concreto – da parte di governi internazionali di affrontare e contrastare campagne di disinformazione e influenza straniera è una cosa positiva”. Dichiarazioni di intenti come quella di questi giorni dai Paesi del G7, continua l’esperta raggiunta da Formiche.net, “sono sempre utili a sensibilizzare l’opinione pubblica su queste tematiche e a dimostrare sul piano geopolitico internazionale una convergenza strategica e il rafforzamento di un fronte comune tra Paesi alleati”.

Oltre ai membri del G7 – Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone e Stati Uniti – il Regno Unito ha invitato questa settimana anche i ministri degli Esteri di Australia, India, Sud Africa e Corea del Sud. A dimostrazione che Londra non è preoccupata soltanto dalla Russia. Infatti, spiega Pellegatta, “bene che si includano in queste conversazioni Paesi geograficamente più vicini alla Cina con cui poter condividere strategie di contenimento dell’influenza cinese”.

La proposta britannica ha trovato terreno fertile per tre ragioni, prosegue l’esperta. “Prima: la presidenza statunitense di Joe Biden che ha più credibilità nel promuovere una posizione di forza contro Russia e Cina, soprattutto per quanto riguarda disinformazione e influenza straniera. Seconda: veniamo da un anno di pandemia che Russia e Cina hanno sfruttato per diffondere narrative ingannevoli sul virus, i vaccini, la risposta di Paesi europei e alleati ed equilibri geopolitici. Terza: dopo la Brexit il Regno Unito deve sfruttare ogni occasione per ristabilirsi come Paese leader sul piano internazionale”.

Altrettante, però, sono le domande che aspettano una risposta, sottolinea Pellegatta. “Prima: come si differenzia questa proposta dal G7 Rapid Response Mechanism già introdotto durante la presidenza canadese nel 2018? Le infrastrutture per coordinare intelligence, analisi e contromisure tra i Paesi alleati per quanto riguarda minacce ibride (tra cui disinformazione) già esistono”, spiega Pellegatta. Qualche esempio? “Il G7 RRM canadese, le competenze di public diplomacy della Nato, i centre of excellence (tra cui quelli StratCom e Hybrid della Nato) e la divisione East StratCom del Servizio europeo per l’azione esterna”. Il problema, dunque, è l’implementazione. “Si propone dunque di migliorare o espandere i meccanismi che già esistono o di crearne uno nuovo – e con quali caratteristiche diverse?”, si chiede Pellegatta.

La seconda domanda: “Si parla solo di campagne di disinformazione organizzate a livello governativo da Russia e Cina e indirizzate all’estero o, per esempio, si prenderanno in considerazione i temi legati a libertà di stampa e integrità dell’informazione in senso più ampio – approccio che sarebbe più simile all’European Democracy Action Plan proposto dalla Commissione europea? In tal caso, come si concilia la volontà dei G7 di garantire pluralismo e libertà dei media anche in Cina, in Russia e in altri paesi con derive autocratiche con la recente richiesta del governo indiano a piattaforme tech di censurare i post che criticavano le proprie misure anti Covid-19?”.

E la terza: “La nota di Raab sui troll russi che invadono le sezioni dei commenti dei media inglesi non è delle più incoraggianti. Purtroppo i troll russi non sono un fenomeno nuovo e sono solo la punta dell’iceberg quando parliamo di operazioni di disinformazione e influenza. Sarò curiosa di vedere quali altri tematiche e tattiche ostili prenderanno in considerazione per delineare questo ‘meccanismo comune’. Per esempio sarebbe interessante vedere un dibattito comune al di fuori della sola Unione europea su come regolare le piattaforme tech e promuovere il giornalismo di qualità”.

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