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Che ne sarà della gig economy? Il governo Biden spaventa i big del settore

La nuova amministrazione vuole mettere in regola i lavoratori indipendenti, come gli autisti di Uber o i fattorini che consegnano i pasti a casa. Ma questa economia si regge sulla saltuarietà e sulla libertà di chi lavora. Pro e contro di maggiori regole nel settore

I “gig workers” sono quei lavoratori autonomi che non operano con contratti orari e che gestiscono le proprie condizioni lavorative in maniera indipendente, senza alcun vincolo particolare. Un “gig worker” è, ad esempio, un autista di Uber, o un fattorino dei servizi di consegna a domicilio. Infatti, in gergo inglese, “gig” significa un impegno lavorativo occasionale, opzionale e non-continuativo. Dunque, garantisce un compenso solo in base a ciò che si riesce a portare a termine e non per le ore lavorative accumulate.

Negli Stati Uniti, come in molte altre parti del mondo, questi lavoratori non sono regolati, poiché non sono dipendenti e non godono di piani di welfare, nonostante lavorino per aziende di impronta internazionale. Pochi giorni fa, il Segretario al Lavoro Usa, Marty Walsh, ha ufficiosamente annunciato di voler cambiare le regole e introdurre nuove direttive per questi lavoratori. Obbligando, quindi, le aziende ad assumere i “gig” come veri e propri dipendenti.

Il movimento sindacale dei lavoratori autonomi negli Usa è diventato via via più rumoroso, e Walsh è sempre stato un grande sostenitore di questi sindacati (e anche membro). Infatti, già dalla sua nomina, si attendeva il momento in cui avrebbe spinto la nuova amministrazione ad espandere le protezioni dei lavoratori.

Come riportato dalla Thompson Reuters Foundation, appena dato l’annuncio “le azioni di Uber sono scese fino all’8%, mentre Lyft è sceso fino al 12%. Doordash è sceso di quasi il 9 per cento e Grubhub è sceso del 3,3 per cento” – nonostante nulla sia stato ancora deciso. L’amministrazione Biden è sicuramente in accordo con questa strategia, ma nessun termine o accordo è stato effettivamente delineato.

Walsh ha annunciato, inoltre, che nei prossimi mesi il suo dipartimento si incontrerà con diversi rappresentati di Uber, Lyft, e altre aziende, per discutere di alcuni cambiamenti, come semplicemente l’introduzione di uno stipendio fisso e dei giorni di malattia. Insomma, “benefici” disponibili a quasi tutti i lavoratori, tranne che, appunto, ai “gig workers.”

Per Walsh è importante per il governo statunitense aiutare questi lavoratori, specialmente considerato il momento storico. Con la pandemia da Covid-19 molte persone hanno perso il proprio impiego e hanno accettato alcune “gigs” per andare avanti, diventando autisti, corrieri, e molto altro. Proprio per questo bisogna tutelare il loro lavoro, crede Walsh. “Il governo non è stato in grado di aiutarli prima, ma può farlo adesso” ha dichiarato a Reuters.

I giganti della gig economy, dall’altra parte, spiegano che molte delle persone che lavorano usando le loro piattaforme hanno altri impieghi, più o meno saltuari, e non intendono essere “imbrigliati” da un rapporto dipendente o continuativo, con tutte le sue esigenze (esclusività, reperibilità, un minimo o un massimo di ore fatturabili). Quasi l’80% di chi fa le consegne per Doordash ha altre fonti di reddito, e non cerca dall’app di consegne un impiego stabile, non intendendo fare il fattorino a tempo pieno. Tra le società, alcune propongono un sistema collettivo che aiuti ad accedere a forme di welfare (assicurazione sanitaria, giorni di malattia, maternità) ma che sia finanziato da tutti gli operatori del settore, non passando attraverso vere assunzioni che rischierebbero di deprimere il mercato e rendere troppo costoso e burocratico il ricorso alla gig economy.


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