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Le relazioni transatlantiche si tingono di green

Di Andrea Manciulli ed Enrico Casini

John Kerry a Roma, il vertice Nato, il G20 e poi la Cop26. Ecco il valore del “clima” nelle relazioni transatlantiche, un tema su cui l’Alleanza può fungere da volano. L’analisi di Andrea Manciulli ed Enrico Casini, rispettivamente presidente e direttore di Europa Atlantica

L’impatto dei cambiamenti climatici sulla sicurezza è diventato, da tempo, sempre di più tema di forte interesse e importanza. Da anni numerosi studi e analisi segnalano infatti quanto il climate change abbia incidenza, direttamente e indirettamente, sulla sicurezza sia a livello globale che locale. Per questo affrontare questo tema diventa essenziale, avendo potenzialmente un impatto sempre più importante anche sulla stabilità economica e le relazioni tra stati. Oggi la consapevolezza crescente su questo versante ci porta a poterlo affrontare per la sua rilevanza strategica, viste le numerose fragilità emerse negli ultimi anni nei nostri sistemi socio-economici, le gravi emergenze ambientali verificatesi di recente e le possibili minacce di tipo asimmetrico che potrebbero emergere nelle aree più colpite dai cambiamenti climatici.

Temi come l’ambiente e l’energia, strettamente correlati a quello del climate change, sono da sempre elementi importanti nel panorama della sicurezza internazionale e fattori centrali nel confronto tra stati. Fondamentali nella loro dimensione geopolitica ed economica e, per questo, spesso oggetto di alleanze, rivalità o conflitti. Nei prossimi anni intorno al tema della transizione ecologica, tecnologica ed energetica, si giocherà una parte considerevole della competizione geopolitica globale e la stessa sicurezza nazionale degli stati ne sarà fortemente interessata. Ma le nuove condizioni ambientali generate anche dalla crisi climatica (desertificazione, innalzamento dei mari, nuove rotte artiche, eventi meteorologici catastrofici) potrebbero rappresentare una sfida rilevantissima, sotto più punti di vista, per il loro impatto in alcune aree geografiche e le conseguenze sulle popolazioni e la vivibilità di certe regioni.

Da qui la necessità di essere sempre più resilienti, e reattivi, rispetto alle nuove tipologie di minacce emergenti, anche di origine ambientale, biologico o epidemico. Ma dall’altro ci impone di sviluppare sempre di più, su questi temi, una strategia comune tra tutti i Paesi europei e gli alleati atlantici, che tenga conto sia degli aspetti più generali del problema, delle loro ricadute globali, ma ovviamente anche quelli più “regionali” derivanti dalla nostra posizione geografica tra regioni fortemente esposte a questi rischi come quella artica, il Mediterraneo e l’Africa.

Da questo punto di vista l’Italia, e tutto il fianco sud dell’Alleanza, sarà probabilmente uno dei Paesi più a rischio rispetto a potenziali minacce derivanti dai cambiamenti climatici nell’area mediterranea e dalle diverse tipologie di effetti prodotti nei Paesi della regione compresa tra Sahel, Nord Africa e Medio Oriente. Ecco perché è indispensabile cercare di arginarne gli effetti e i possibili rischi, sia sul piano globale che per quello che riguarda le aree specifiche a noi più prossime dove instabilità e insicurezza possono essere fortemente moltiplicate con riverberi pesanti su tutta la regione.

Il fatto che questo tema, anche grazie all’impego e alle iniziative promosse dall’Italia, sia sempre più presente nel confronto interno alla Nato (se ne è parlato per esempio in un recente evento promosso dalla Rappresentanza italiana e se ne parla anche nel nuovo report Nato2030) è un segnale indubbiamente positivo. Per la Nato l’impatto sulla sicurezza dei cambiamenti climatici, e il rapporto sempre più stretto tra ambiente e sicurezza, sta diventando un tema di grande centralità che interesserà sempre di più, nei prossimi anni, l’evoluzione strategica dell’Alleanza. Esso interessa aree di confine a nord e a sud, ma interessa anche la capacità di reagire alle emergenze climatiche e metereologiche, sempre più dirompenti e improvvise, come le possibilità di adattamento delle Forze armate ai nuovi contesti ambientali più estremi e lo stesso impatto della attività militari sull’ambiente.

Su questi temi la Nato potrà agire, sempre di più con un ruolo fondamentale, al fianco di organizzazioni internazionali come Onu e Ue, nel fronteggiare le minacce derivanti dal climate change e per predisporre strumenti efficaci in grado di reagire prontamente, se non preventivamente, rispetto ad eventuali crisi o emergenze derivanti da esso. La centralità stessa che i temi del cambiamento climatico e della sostenibilità ambientale, collegati a quello della transizione tecnologica ed energetica, avranno nel definire gli assetti futuri dell’economia e dell’industria europea, rappresentando il cuore della sfida per la ricostruzione post-Covid, esemplificano perfettamente quanto su questi temi i Paesi europei saranno impegnati nei prossimi anni. Ma si tratta di questioni sempre più rilevanti anche a livello politico e geopolitico, in un mondo multipolare e competitivo, dove acquisiranno importanza crescente nei prossimi anni.

A questo fine, è evidente che l’impegno comune sui temi ambientali e la lotta al cambiamento climatico, anche negli aspetti che interessano la sicurezza e la geopolitica, può diventare elemento utile al rilancio delle relazioni transatlantiche. La nomina di John Kerry come inviato speciale sul clima, il rientro degli Usa negli accordi di Parigi e l’importanza riservata a questi temi da Joe Biden, rappresentano una svolta politica e diplomatica in grado di rimettere i Paesi occidentali su una medesima prospettiva di azione globale. Visto il ruolo dell’Unione europea su questo fronte, e la sensibilità dei Paesi europei e dell’opinione pubblica su questi temi, può davvero essere un’occasione da sfruttare. Gli Stati Uniti si stanno sempre di più facendo promotori di una nuova agenda di impegno internazionale contro i cambiamenti climatici: i recenti incontri promossi sul tema con diversi Paesi (come quelli recentissimi in Italia e in Europa) e il ruolo assunto da Kerry lo dimostrano con chiarezza. La sfida della lotta ai cambiamenti climatici può diventare un terreno comune di lavoro, su cui anche le potenze in competizione possono trovare elementi di confronto, e allo stesso tempo permettere di cooperare sempre più attivamente tra alleati.

Gli appuntamenti in programma nei prossimi mesi, dal G20 al G7, alla conferenza COP26 al vertice Nato, potranno essere passaggi fondamentali per cementare questa collaborazione nella lotta al cambiamento climatico, in cui i Paesi occidentali potranno costruire una convergenza comune, anche nel confronto con le altre potenze. Sviluppare insieme un programma globale sul fronte ambientale, in grado di costruire alleanze anche con i Paesi più minacciati dal climate change, in Africa o nel Pacifico, e agire rapidamente per fare fronte a tutte le possibili minacce collegate, potrà essere, nei prossimi anni, uno dei più rilevanti impegni che i governi democratici europei al fianco degli Alleati dovranno perseguire. Si tratta di una necessità strategica, per gli Usa e l’Europa, per agire fianco a fianco a livello internazionale e per rinsaldare, intorno a una sfida decisiva per il futuro globale, una prospettiva “atlantica” che metta insieme valori condivisi e sicurezza comune.



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