Carlo Panella, giornalista e scrittore, commenta l’escalation di violenze in Medio Oriente sottolineando le responsabilità di Netanyahu ma anche l’errore Usa di sottovalutazione dell’espansionismo iraniano
Le violenze di questi giorni in Medio Oriente hanno colto alla sprovvista un po’ tutti. Compresi gli Stati Uniti di Joe Biden, secondo Carlo Panella, giornalista e scrittore, grande esperto di Medio Oriente.
Siamo davanti a una nuova intifada?
No. Sopratutto quella delle stragi è stata un’ondata di attacchi terroristici appoggiata e organizzata centralmente sia da al Fatah sia da Hamas.
Allora a che cosa stiamo assistendo?
In Israele stiamo assistendo, purtroppo per la prima volta dal 1948, al fatto che settori marginali ma importanti della popolazione araba si scagliano contro gli ebrei israeliani. È la conseguenza di un radicale errore del governo Netanahyu, che ha puntato sulla marginalizzazione della popolazione araba.
È guerra civile?
Non siamo assolutamente ai livelli di una guerra civile, che è qualcosa di drammaticamente più serio e complesso. Siamo però alla rottura iniziale di un patto di convivenza tra la maggioranza ebraica e la minoranza araba che aveva retto in maniera pregevole per 70 anni.
I fatti di questi giorni come potrebbe impattare sull’eventuale adesione della formazione araba Ra’am a un governo senza Benjamin Netanyahu con i centristi i Yair Lapid e la destra di Naftali Bennett?
Il fenomeno Ra’am è molto interessante: è un’organizzazione legata ai Fratelli musulmani, integralista e in qualche senso oltranzista, ma che evidenzia un dato positivo: per la prima volta nella comunità arabo israeliana una componente sceglie la strada della trattativa politica. Ra’am è estremamente duttile e malleabile, l’ha dimostrato in cui giorni quando il leader Mansour Abbas ha dato la disponibilità a riprendere i negoziati appena cessano i disordini. Ma è importante sottolineare che le trattative condotte con il Likud di Netanyahu nelle scorse settimane sono fallite non per le condizioni poste dagli arabi ma perché l’estrema destra religiosa che, ahimè il primo ministro ha favorito fino a farle ottenere una rappresentanza parlamentare, si è rifiutata di aver qualsiasi rapporto con una formazione araba.
Gli Stati Uniti di Joe Biden possono avere un ruolo nel riportare la situazione sotto controllo?
Gli Stati Uniti non hanno nessun ruolo perché non capiscono nulla. La posizione di Biden è sbalorditiva: considera il Medio Oriente marginale, balbetta nei confronti di questa crisi. È palese che Hamas sia, come la Jihad islamica, eterodiretta dall’Iran. Basti pensare agli armamenti iraniani schierati in questi giorni, che sono di difficile utilizzazione e che dunque rivelano l’esistenza di addestratori iraniani. Il che fa saltare completamente la visione idilliache che aveva Biden di riprendere l’accordo nucleare con l’Iran la cui Guida suprema Ali Khamenei ha appena ribadito la necessità di distruggere Israele e sostenere Hamas.
Gli Stati Uniti sono colti alla sprovvista?
È un disastro di dottrina che non si vedeva ai tempi di Jimmy Carter. Persino osservatori progressisti e filo Biden rilevano il balbettio incredibile dell’amministrazione in questa crisi.
Da dove nasce tutto questo?
Deriva da una dottrina sbagliata, che è stata quella di Barack Obama di cui Biden è stato vice: l’amministrazione rifiuta di vedere come l’Iran, attraverso i Pasdaran e una componente oltranzista palestinese, Jihad islamica, Hezbollah e Houthi, abbia il progetto strategico di esportare la rivoluzione in Medio Oriente. E negli ultimi anni ha fatto enormi progressi.