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L’ora di Kerry. Realacci svela il Clima fra Italia e Usa

Di Ermete Realacci

La visita a Roma dell’inviato speciale per il clima di Biden John Kerry testimonia l’intesa fra Stati Uniti e Italia per la più grande sfida del secolo, cementata dalla presidenza italiana del G20. Ecco una road map e le priorità dell’agenda. L’analisi di Ermete Realacci, presidente Symbola

Contrastare la crisi climatica, come dice con coraggio il Manifesto di Assisi, è anche una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo, nonché per definire le relazioni internazionali sulla base di una sfida che accomuna tutta l’umanità.

Non è un caso se il primo, grande appuntamento internazionale di Joe Biden è stato organizzato proprio sul tema della crisi ambientale. Non a caso è stato scelto come inviato speciale americano per il Clima John Kerry, un uomo che, come segretario di Stato di Barack Obama, è stato protagonista assoluto degli accordi di Parigi del 2015.

Kerry, in visita a Roma in questi giorni per incontrare il governo Draghi e papa Francesco, seguì allora tutta la trattativa che, grazie alla pressione americana, al protagonismo europeo, al cambio di atteggiamento cinese e la stessa Laudato Si’, produsse un risultato tutt’oggi considerato importante.

Come ha ribadito Kerry nel recente incontro B20 in preparazione del G20 guidato dalla presidenza italiana, la questione climatica è anche, e soprattutto, una questione economica. Cinque anni fa, Donald Trump ha costruito una campagna presidenziale su due grandi slogan: da una parte il muro con il Messico, dall’altra il carbone americano. Ricordiamo ancora le manifestazioni di piazza con i suoi supporter che imbracciavano cartelli con su scritto “Trump digs coal”, “Trump scava il carbone”.

Nonostante le nuove leggi a favore dei combustibili fossili, nei suoi quattro anni alla Casa Bianca il consumo di carbone ha continuato a diminuire. Al punto che nello scorso giugno tutti gli impianti di produzione di energia elettrica, compresi quelli degli Stati repubblicani, erano alimentati da energie rinnovabili. Perché? Semplice: anche un governatore repubblicano, se costa di meno, preferisce un impianto eolico al carbone.

Anche per questo un mese fa Kerry ha detto che i due settori che prima della pandemia stavano producendo più posti di lavoro erano il solare fotovoltaico e l’eolico. Si tratta di un cambiamento trasversale che attraversa tutti i settori produttivi, e in Italia lo sappiamo bene.

La struttura che l’Ue ha dato al Next generation Eu, fra coesione, sanità, digitale, inclusione e soprattutto transizione verde, non è solo la risposta a un pericolo e alla sensibilità delle nuove generazioni, ma una strategia cruciale per rimettere l’Europa al centro di una missione che riguarda tutto il mondo e può vedere l’Italia protagonista.

È una sfida che può restringere le distanze da una parte all’altra dell’Atlantico e questo incontro fra Kerry e Draghi può essere un importante segnale. Se l’Italia, oltre alle sue conoscenze e alla qualità delle sue produzioni, metterà in campo la sua bellezza e il suo soft power, allora davvero potremo metterci alla guida di questo processo e uscire più forti dalla pandemia.

Un famoso regista americano con origini siciliane, Frank Capra, ha detto: “I dilettanti giocano per piacere quando fa bel tempo. I professionisti per vincere, mentre infuria la tempesta”. La crisi climatica ha bisogno di professionisti, non possiamo permetterci di essere dilettanti. Kerry e Draghi certamente non lo sono.

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