Il governo britannico ha annunciato due leggi: una per mettere al sicuro le telecomunicazioni, l’altra per rafforzare il controspionaggio. Previsto anche un registro degli “agenti stranieri”. Nigel Inkster (ex numero due dell’MI6) spiega come Londra si prepara a contrastare le zone grigie
Nel corso del tradizionale Queen’s Speech, che apre la nuova sessione parlamentare, l’esecutivo britannico illustra, per bocca del sovrano, le sue priorità. Il governo di Boris Johnson, ha spiegato oggi la regina Elisabetta, “sosterrà i diritti umani e la democrazia in tutto il mondo e promuoverà l’impegno globale per garantire l’istruzione a 40 milioni di ragazze nel mondo”. Inoltre, il Regno Unito, che quest’anno ospita il G7, guiderà gli sforzi “per assicurare una robusta ripresa economica dalla pandemia”. “I miei ministri approfondiranno i legami commerciali nel Golfo, in Africa e nell’Indo-pacifico”, ha aggiunto.
“I miei ministri attueranno la Integrated Review of Security, Defence, Development and Foreign Policy”. Con queste parole e con riferimento a quella che il Times ha definito la review strategica “più radicale dalla fine della Guerra fredda”, la sovrana ha anche annunciato i prossimi passi del governo britannico – “il mio governo” – in tema di sicurezza nazionale.
Formiche.net ne ha parlato con Nigel Inkster, trent’anni di esperienza nel Secret Intelligence Service britannico (l’MI6) di cui è stato numero due e direttore delle operazioni e dell’intelligence, oggi senior adviser dell’International Institute for Strategic Studies (IISS) di Londra, uno dei più importanti think tank al mondo, e autore del volume The Great Decoupling: China, America and the Struggle for Technological Supremacy. Le sue parole trasudano la tradizione britannica dello spionaggio: il fattore umano prima di tutto, anche in questa fase storica segnata dalla quarta rivoluzione industriale.
Il governo britannico ha annunciato due leggi. La prima è il Telecommunications (Security) Bill, voluto per assicurare “sicurezza e resilienza a lungo termine” alle reti di telecomunicazioni del Paese e ridurre al minimo i rischi legati ai cosiddetti “fornitori ad alto rischio”. È un’ulteriore stretta dopo il bando dell’anno scorso alle aziende cinesi Huawei e Zte?
Sì. Ed è il riconoscimento che le telecomunicazioni hanno implicazioni anche nella sicurezza nazionale. Alla luce di ciò, non si può trattare questo argomento soltanto dal punto di vista economico.
La Regina ha annunciato anche il Counter-State Threats Bill, pensato per rafforzare gli strumenti nelle mani di servizi di sicurezza e forze dell’ordine per contrastare le attività ostili di altri Stati. Si tratta di un aggiornamento dell’Official Secrets Act che molti definiscono obsoleto se non addirittura arcaico, visto che non copre le attività online. Inoltre, verrà introdotto un registro simile a quello previsto dallo statunitense Foreign Agents Registration Act. Qual è la sua valutazione?
Attualmente, nel Regno Unito è piuttosto difficile perseguire chi diffonde informazioni sensibili. Un simile registro è una leva in più per contrastare le zone grigie visto che permette di distinguere tra le attività che sono legali e quelle che non lo sono.
Basta per fronteggiare lo spionaggio di Paesi come la Cina?
Nulla è abbastanza. La sicurezza è come una cipolla, fatta di strati. Questa legge aggiunge un’arma nell’arsenale del controspionaggio britannico. Inoltre, è un buon modo per sensibilizzare l’opinione publica.
Come giudica il precedente statunitense del Foreign Agents Registration Act?
Com’è ovvio non ha impedito le attività di spionaggio. Ma con la sua introduzione è più facile per le autorità statunitensi contrastarle. Oggi assistiamo a una crescita della consapevolezza collettiva delle sfide poste dallo spionaggio di Paesi come la Cina.
Cina che nell’Integrated Review viene descritta come “competitor sistemico”, mentre la Russia come un “minaccia intensa e diretta”. Termini molto simili a quelli utilizzati nella statunitense Interim National Security Strategic Guidance, diffusa nelle settimane scorse dall’amministrazione Biden: lì la Russia è definita disruptive e la Cina assertive. Questa ambiguità è stata a lungo tema di dibattito nel Regno Unito. Le mosse annunciate oggi sono una risposta ai critici?
L’Integrated Review riflette inevitabilmente il dilemma che il Regno Unito e le altre democrazie liberali affrontano quando si tratta di Cina. Basti pensare che alcune settimane fa il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato di non voler essere coinvolto in una crociata a guida statunitense contro la Cina. Il Regno Unito si trova in una situazione non troppo diversa da quella della Francia. Dunque, in un certo senso sì, questa stretta è anche una risposta ai critici.
Abbiamo parlato di Cina ma non possiamo dimenticare la Russia, la cui influenza nel Regno Unito è “la nuova normalità”, come si legge nel cosiddetto “Russia report” pubblicato nel luglio scorso dalla commissione Intelligence e sicurezza del Parlamento britannico in cui critica l’atteggiamento di diversi governi britannici.
Quel rapporto va molto indietro, anche prima del governo Johnson. Il fatto è che dalla fine della Guerra fredda, con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, il Regno Unito ha sempre accolto denaro dalla Russia, diviso tra la volontà di mantenere Londra hub finanziario globale e la necessità di scegliere quali flussi permettere. Oggi c’è una presa di coscienza per stringere le maglie, in particolare in quelle zone grigie dove l’influenza viene esercitata attraverso il denaro.