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Le liti nel M5S sono la fine della politica affidata al web. Una proposta

Di Tommaso Edoardo Frosini

Il Parlamento dovrebbe varare finalmente una legge sui partiti politici: fatta di principi, regole, indirizzi e forme di controllo in grado di garantire un contesto più trasparente e responsabile all’azione politica di rilievo pubblicistico. Perché una democrazia senza partiti è come un liberalismo senza libertà. Il commento di Tommaso Edoardo Frosini, professore di Diritto costituzionale all’università Suor Orsola Benincasa

La vicenda del contrasto all’interno del Movimento 5 Stelle è solo apparentemente una “lite fra comari”. Si tratta piuttosto di un problema dovuto a un mancato adempimento costituzionale, in particolare quanto previsto dall’art. 49 cost.

Andiamo per ordine. Tutto ha inizio con la decisione del senatore Crimi, proclamatosi di fatto ma non di diritto capo politico del Movimento, di espellere una consigliera sarda perché colpevole di condotte contrarie al Movimento, senza però specificare quali fossero e senza una contestazione preventiva. Contro il provvedimento di espulsione la consigliera ricorre al Tribunale di Cagliari, il quale, preso atto dell’assenza di un rappresentante legale del Movimento (a seguito del cambio di statuto), provvede a nominare un curatore speciale, che dovrà rappresentare in giudizio il Movimento nella udienza di merito che si terrà a luglio. Contro la decisione del Tribunale il senatore Crimi presenta appello, che gli viene respinto perché ritenuto inammissibile.

Nel frattempo, si accende un’altra lite interna, che vede contrapposti l’ex presidente del consiglio Conte, quale prossimo capo politico del Movimento, e Casaleggio jr., quale gestore della piattaforma online Rousseau. Motivo della controversia sono i dati degli iscritti al Movimento posseduti nella banca dati della piattaforma Rousseau, la quale non vuole cederli in assenza di un rappresentante legale del Movimento. Conte minaccia di ricorrere al garante della privacy: per chiedergli cosa? Non certo di intimare a Casaleggio la cessione dei dati, che peraltro sono sensibili, e quindi protetti, in quanto attengono alle scelte politiche degli individui. Intanto, alcuni parlamentari del Movimento si dissociano dal votare la fiducia al governo Draghi e pertanto vengono espulsi dal gruppo parlamentare, sempre su ordine dello stesso Crimi.

Insomma, grande confusione sotto il cielo dei 5 Stelle. Si assiste a un’implosione del Movimento e alla crisi del modello della cd. “democrazia diretta”, che vedeva nella piattaforma Rousseau il luogo esclusivo delle decisioni politiche partecipate attraverso il voto degli iscritti. Questo perché lo spontaneismo politico, affidato alla rete internet, è difficilmente compatibile con i modi e i metodi delle democrazie stabilizzate. Che presuppongono un sistema di partiti politici concreto, materiale, e non soltanto virtuale. In fondo, anche la crisi di “Podemos” in Spagna è attribuibile a un metodo di fare politica improvvisato e provvisorio. E così pure le cd. “sardine” in Italia mi sembra che siano scomparse nel nulla.

Tornare al sistema dei partiti allora? Sia pure senza dovere usare la parola, visto che in Italia oggi la usa solo il Partito democratico. Essere partito vuol dire comunque essere sul territorio. Stabilire un ponte tra la società politica e la società civile. Rappresentare un’idea che non è più un’ideologia. E infine: essere regolato giuridicamente.
Infatti, il mancato riconoscimento legislativo dei partiti contrasta con l’art. 49 cost., e quindi con il diritto dei cittadini ad associarsi in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

Il problema, fin dagli anni Cinquanta con la “mitica” proposta di Luigi Sturzo, è quello di codificare con legge il metodo democratico all’esterno e soprattutto all’interno dei partiti. Come avviene in Germania, Spagna, Portogallo, per esempio. La mancata regolazione giuridica dei partiti, che avrebbe dovuto comportare, tra l’altro, la trasparenza dei finanziamenti, ha segnato, come noto, una vicenda politicamente rilevante nota come “tangentopoli”. Oggi questo vulnus legislativo, riappare in una vicenda che vede protagonista quel movimento che nelle scorse elezioni ha ottenuto il maggior consenso elettorale. E che nella scorsa legislatura si era opposto all’approvazione di una legge, che prevedeva una prima, sia pure timida, regolazione dei partiti.

Insomma, questa vicenda che sembrerebbe fare intravedere il tramonto di una modalità di fare politica affidata al web, ci richiama, ancora una volta, alla mancata attuazione della costituzione per insipienza della classe parlamentare, e dovrebbe indurre il Parlamento a varare finalmente una legge sui partiti politici: fatta di principi, regole, indirizzi e forme di controllo in grado di garantire un contesto più trasparente e responsabile all’azione politica di rilievo pubblicistico. Perché una democrazia senza partiti è come un liberalismo senza libertà.

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