L’imprenditore Jimmy Lai è stato condannato ad altri 14 anni di carcere per avere partecipato a un’assemblea non autorizzata a Hong Kong, mentre lo scrittore australiano Yang Hengjun rischia l’ergastolo per un’accusa di spionaggio
La macchina di repressione cinese non si ferma. Oggi l’imprenditore settantaduenne di Hong Kong, Jimmy Lai, è stato condannato ad altri 14 mesi di carcere. L’emittente Cgtn ha sottolineato che la pena riguarda il ruolo del magnate dei media, attivista pro-democrazia dell’ex colonia inglese, nello svolgimento di un’assemblea non autorizzata ad ottobre del 2019.
Lai si trova in carcere da dicembre per avere partecipato ad altre proteste simili ad agosto del 2019, ed è stato condannato insieme a nove giovani attivisti di Hong Kong. Le autorità hanno negato a Lai la libertà su cauzione nell’ambito della nuova legge sulla sicurezza nazionale promossa da Pechino.
L’imprenditore è stato arrestato più volte e l’accanimento delle autorità cinesi contro di lui ha attirato l’attenzione della comunità internazionale. Per i difensori dei diritti umani le accuse sono la prova dell’attacco alla libertà d’espressione e associazione in Cina.
Un altro caso che evidenza la repressione cinese è l’inizio del processo contro lo scrittore australiano Yang Hengjun. La prima udienza c’è stata oggi presso la Seconda Corte Intermedia del Popolo di Pechino. Arrestato a gennaio del 2019, il romanziere ed ex funzionario pubblico cinese è accusato di spionaggio (è autore di diversi libri di spy stories). Yang rischia una condanna da tre anni di carcere all’ergastolo.
Ai rappresentanti diplomatici dell’Australia non è stato permesso l’ingresso in aula, per cui l’ambasciatore australiano in Cina, Graham Fletcher, ha dichiarato: “Abbiamo avuto a lungo preoccupazioni su questo caso, inclusa la mancanza di trasparenza, e perciò abbiamo concluso che questo è un caso di detenzione arbitraria”.
L’Australia sostiene di non volere “interferire nel sistema legale cinese: le nostre preoccupazioni sono legittime, ma ci aspettiamo che si soddisfino i basilari standard internazionali di giustizia”.