L’idea lanciata di un supergruppo dei conservatori in Ue lanciata dal segretario della Lega Matteo Salvini non è realizzabile, nel breve periodo. Ma è molto meno peregrina di quanto non possa sembrare. Ecco le tre ragioni dietro l’uscita del “Capitano”. L’analisi di Paolo Alli
La tattica di Matteo Salvini è quella di essere sempre in movimento, cercando in continuazione spazi di azione e di comunicazione autonoma e originale. In questo, almeno a livello di metodo, ha imparato dall’antico maestro Umberto Bossi, che buttava lì cinque idee, più o meno realistiche, spesso piuttosto squinternate, ma che aveva ben chiaro quale fosse quella che voleva portare a casa. E quasi sempre ci riusciva.
Salvini è altrettanto brillante nel metodo, un po’ meno nei risultati, almeno negli ultimi tempi. A volte ha intuizioni anche interessanti perché pochi come lui sanno cogliere gli umori della gente: è il caso recente del referendum sulla giustizia.
In altri casi, sembra annaspare alla rincorsa della Meloni o nel tentativo di arginare la crescita di Mario Draghi nella percezione degli italiani, favorita dai successi della campagna vaccinale e della autorevolezza della quale il presidente del Consiglio gode a livello internazionale.
La collocazione della Lega in ambito europeo è il tema sul quale il segretario della Lega si è sempre mostrato ondivago, combattuto tra le proprie pulsioni antieuropee e la visione aperta al dialogo con i popolari di Giancarlo Giorgetti. Fino al punto di rischiare la schizofrenia politica del sostegno a Draghi in Italia e alla destra estrema in Europa, come se le due cose fossero compatibili.
La scampagnata a Budapest, che ho già commentato, non ha dato esiti, come era naturale attendersi. Ecco allora che Salvini cava dal cilindro un’idea provocatoria e, apparentemente, paradossale: un unico gruppo del centrodestra al Parlamento europeo, che vada dal Ppe alla destra estrema, nella quale la Lega continua a militare, nonostante il parere silenziosamente contrario della gran parte dei suoi eurodeputati.
Le reazioni dei suoi alleati italiani non si fanno attendere. Fratelli d’Italia fa esprimere contro questa ipotesi l’ineffabile La Russa. Mi sono chiesto se l’amico Ignazio sia improvvisamente diventato esperto di politiche internazionali, delle quali credo abbia ben raramente capito l’Abc, ma si sa, così va la vita ultimamente. Più naturale che Forza Italia affidi il proprio niet ad Antonio Tajani. Il redivivo Cesa, in cerca di un recupero di visibilità, guarda “con interesse” alla proposta di Salvini (penso per niente ricambiato).
Credo, a questo punto, di potermi permettere anch’io un modesto commento, visto che qualche volta in giro per il mondo ci sono andato e, se mi è consentito, anche perché presiedo un partito, Alternativa Popolare, iscritto al Ppe.
L’idea di Matteo Salvini è irrealizzabile, almeno nel breve, e credo che lui lo sappia bene. Tuttavia, essa contiene più di un elemento che la rende assai meno peregrina di quanto possa apparire.
Anzitutto, per la prima volta Salvini cita il Ppe come possibile alleato, anche se dentro una dinamica apparentemente velleitaria. Questo fatto è la vera novità del suo messaggio. A modo suo, il leader della Lega sdogana così gli odiati (finora) interlocutori che fanno capo al presidente Donald Tusk e al capogruppo Manfred Weber. Non mi sembra elemento di poco conto.
Poi Salvini dice: il Ppe con Orbàn, ed anche questo inciso contiene un elemento interessante. Conferma, infatti (come già avevo ipotizzato), che lo stesso Orbàn ha fatto intendere che egli non farà mai una azione ostile ai popolari, nei quali ha militato a lungo e del cui appoggio il suo Paese ha assoluto bisogno (leggasi Cdu-Germania). Proprio questo elemento, emerso nelle discussioni di Budapest, aveva da subito frenato il progetto del nuovo gruppo proposto dal leader della Lega. Ecco, allora, che per coinvolgere Orban bisognava in qualche modo “agganciare” il Ppe.
La terza considerazione, infine, è che Salvini tenta anche con questa proposta provocatoria di mettere in difficoltà la trasteverina Meloni, assurta al ruolo di presidente dei conservatori europei. La sua velina, affidata al luogotenente Ignazio, appare, in questo senso, quasi un gesto di disprezzo.
Dal punto di vista pratico, l’uscita del segretario del Carroccio non avrà seguito, almeno nel breve. Non dimentichiamo che il principale interlocutore chiamato in causa, il Ppe, ha il problema di far eleggere Weber a presidente del Parlamento Europeo con l’avvicendamento di metà mandato e che, per questo, ha bisogno dei voti dei socialisti. Quindi lo stesso Weber, per quanto più vicino di altri alle istanze della destra interna, non può permettersi di aprire ora un dialogo con la Lega.
Tuttavia, l’idea che dopo l’elezione di Weber (se non ci saranno altri problemi) la famiglia dei popolari possa cominciare ad aprire qualche spiraglio verso Salvini è tutt’altro che peregrina. E’ l’ipotesi alla quale io personalmente e il mio partito, Alternativa Popolare, stiamo lavorando da tempo, alla luce della considerazione che i voti che furono di Berlusconi sono oggi in gran parte nella Lega.
Perché questa apertura di dialogo si realizzi, Salvini dovrà mantenere l’appoggio a Draghi e decidere, finalmente, di occuparsi di più del parere dell’enorme quantità di elettori moderati, di imprenditori e di professionisti che ancora gli danno fiducia e un po’ meno delle chiacchiere da Bar Sport. E sarà meglio che ascolti di più Giancarlo Giorgetti e di meno i suoi numerosi cattivi consiglieri.
Ci potremo arrivare? Non lo so, ma vale la pena, almeno, di sperarlo.