Alcune forze politiche sono entrate in fibrillazione. C’è chi propone, in privato e anche in pubblico, cambiamenti della maggioranza. E chi pensa a un’elezione del presidente del Consiglio Mario Draghi a Presidente della Repubblica anche come espediente per anticipare la fine della legislatura e andare alle urne prima che gli avversari si siano organizzati. Giuseppe Pennisi spiega perché le due impostazioni sono errate
Su questa testata, vari commentatori hanno sottolineato che con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) siamo solamente agli inizi di un percorso tutto in salita. Siamo all’anteprima del primo stadio, se per primo stadio si intende l’approvazione da parte del più alto organo politico dell’Unione europea (Ue): il Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’Ue. Siamo alla fase di interlocuzione tecnica tra la Commissione europea e il governo, rappresentato essenzialmente dal ministro dell’Economia e delle Finanze. Una fase di due mesi in cui si possono fare ancora approfondimenti e cambiamenti prima di presentare il documento all’organo decisionale.
Eppure, alcune forze politiche sono entrare in fibrillazione. C’è chi propone, in privato e anche in pubblico, cambiamenti della maggioranza. E chi pensa (in privato ma facendolo comprendere al colto e all’inclito) ad un’elezione del presidente del Consiglio Mario Draghi a Presidente della Repubblica anche come espediente per anticipare la fine della legislatura e andare alle urne prima che gli avversari (con cui ora condividono l’onere di governare) si siano organizzati.
Ambedue le impostazioni sono errate. In primo luogo, un vecchio detto dice “squadra che vince non si cambia”. Per ora la squadra ha vinto l’anteprima: presentare un Pnrr che superi il minimo sindacale e possa essere letto dalle autorità europee. Tali non erano le due versioni approntate dal Governo giallorosso: erano state fortemente criticate sia dalle istituzioni (Ufficio parlamentare di bilancio, ufficio di Camera e Senato, Cnel, forze politiche e sociali) sia dallo stesso Commissario europeo preposto agli affari economici e finanziari.
Quindi, i leader di quelle forze politiche responsabili di quelle stesure del Pnrr farebbero bene a seguire la virtù del silenzio anche perché la squadra dovrebbe, auspicabilmente, continuare a lavorare nel lungo periodo di approvazione ed attuazione del Pnrr.
Ciò è possibile dopo il termine naturale della legislatura? Ci sono esempi di “grandi coalizioni” che si ricompongono dopo elezioni politiche – ad esempio in Germania – se la situazione lo richiede. Con le riforme del Pnrr, l’Italia sta iniziando un lungo periodo di riassetto strutturale mirato a rilanciare produttività e crescita dopo venti di stagnazione e una dura recessione. È auspicabile che il timoniere non cambi e neanche gli ufficiali (pure quelli in seconda) perché sono legati da una condivisione di responsabilità che riguarda sessanta milioni di italiani.
Come valutare chi si dissocia dallo sforzo comune? Il governo Draghi è nato con due obiettivi: a) sconfiggere la pandemia grazie ad una campagna di vaccinazione ben articolata; b) riformare e rilanciare l’economia italiana tramite le riforme e gli investimenti del Pnrr. È possibile che ci siano differenze di sensibilità su alcuni aspetti di come vengono declinati gli strumenti per raggiungere questi due obiettivi. In tutte le democrazie parlamentari, in questi casi ci si astiene dal votare le misure specifiche, come avvenuto frequentemente durante quella che viene chiamata la prima Repubblica nonché di recente durante il governo gialloverde e il governo giallorosso.
Ciò non deve scandalizzare nessuno. Al tempo stesso, lo sforzo comune è tanto pesante per raggiungere i due obiettivi del governo che si farebbe bene a non caricare l’agenda con temi divisivi, soprattutto se interessano minoranze minute anche se rumorose di italiani. Consiglio di leggere con cura J. Buchanan-G. Tullock, “Il calcolo del consenso”, il Mulino, Bologna 1998, p. 400. Un testo che prova come ciò sia controproducente anche meramente a fini elettorali.