Giulia Gigante fa il punto sulla situazione politica della Polonia, analizzando il Recovery Fund, il voto dei socialisti per il governo, la spaccatura del Prawo i Sprawiedliwość e l’intransigenza dei centristi
La politica è lotta per l’egemonia. Esige calcoli algebrici, giochi di prestigio, improvvise inversioni di rotta, il sangue freddo di un cecchino nel colpire l’avversario, la seduzione di un attore hollywoodiano per coinvolgere e mobilitare l’elettorato.
Nonostante l’era della spoliticizzazione di massa attraversi lo spazio planetario, vi sono realtà in cui la storia non può fare a meno di riesumare la natura demoniaca della politica, superando il tatticismo fine a sé stesso, l’automatismo delle alleanze partitiche e le strategie architettate nei piani alti. La Polonia è un esempio lampante.
Durante l’ultimo week-end di aprile, Jarosław Kaczyński ha incontrato il ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro e il ministro dello Sviluppo Economico Jarosław Gowin, sperando di poter ricucire le rotture che minacciano l’equilibro della coalizione di governo e il voto anticipato.
Il colloquio non ha determinato un punto di svolta. Ziobro continua a scagliarsi contro il Recovery Fund e Gowin abbandona il tavolo senza alcuna garanzia, se non un’astratta promessa di includere nel Piano Nazionale di Ripresa alcune modifiche avanzate da Porozumienie e la garanzia di accaparrarsi maggiori finanziamenti pubblici per il partito di riferimento.
Ma i tre leader di Zjednoczona Prawica (colazione dell’attuale esecutivo) evitano di affrontare il tema della selezione dei candidati nelle prossime liste elettorali, soprattutto Kaczyński che intende vincere una partita psicologica contro i suoi avversari interni. Il dominus di “Diritto e Giustizia”, infatti, in caso di elezioni anticipate, prospetta uno scenario tragico per i suoi interlocutori: in caso di sconfitta Ziobro diverrebbe il principale capo espiatorio e Gowin la ruota di scorta di opposizione e maggioranza. Dunque, il ritorno alle urne non conviene a Kaczyński, che rischierebbe di incassare una sonora batosta proprio come avvenne nel 2007, ma soprattutto non conviene ai suoi alleati di governo, i quali tentano disperatamente di ridimensionare e di togliere il volante a Prawo i Sprawiedliwość. Affinché la “Destra Unita” possa sopravvivere è necessario intimare il “cessate il fuoco” interno e prolungare lo status quo. E mentre Krzysztof Sobolewski, capo del comitato esecutivo di PiS, assicura che tutte le parti ambiscono a concludere un accordo programmatico per gli anni 2021-23, Kaczyński alza il prezzo per marcare la propria supremazia sul destino della coalizione. Su Gazeta Polska non esclude l’eventualità di spedire i polacchi nelle cabine elettorali.
Comunque, a riunione conclusa, il triumvirato Kaczyński-Ziobro-Gowin decide di stilare una lista di priorità, tra cui la rielaborazione di un’agenda politica comune capace di traghettare il governo di Mateusz Morawiecki verso l’appuntamento elettorale. Innanzitutto, partendo dagli ultimi dati (alquanto scoraggianti) relativi al livello occupazionale, bisogna definire un nuovo piano per il lavoro nella Polonia post-pandemica. Questo permetterebbe al PiS di recuperare terreno nei sondaggi, e di limare quel 48% che boccia l’operato di Morawiecki.
Ma il vero colpo di scena proviene dal retrobottega dell’opposizione. Mentre i liberali di Piattaforma Civica (Platforma Obywatelska) subiscono l’avanzata di Szymon Hołownia, il leader carismatico di Polska 2050, i socialisti di Lewica escono dall’angolo per giocare l’ultimo round nel Sejm. Da una parte il bacino elettorale del PiS sta per essere risucchiato dalla linea “dura e pura” di Ziobro, il vero nemico dell’Ue che monopolizza i cuori dei nazionalisti, dall’altra il gradimento capitalizzato da Rafał Trzaskowski, nel corso delle presidenziali 2020, viene eclissato dalla popolarità di Holownia, l’unico pronto a misurarsi in una sfida elettorale. Piattaforma Civica è un partito di sistema senza potere, i suoi uomini di punta Budka e Schetyna sembrano incapaci di ridare linfa alla famiglia dei popolari, per non parlare di Trzaskowski rintanato nella torre di Holderlin, troppo occupato ad amministrare la città di Varsavia per tracciare la rotta.
Ma torniamo al nocciolo del discorso. Lewica, staccandosi dall’intransigenza di Piattaforma Civica e dopo una lunga negoziazione, manifesta il suo sostegno al Piano Nazionale di Ricostruzione, beccandosi l’ira funesta dei moderati che speravano, tramite un’opposizione senza sconti, di sostituire la squadra di Morawiecki con un governo tecnico. “Traditori”, “nazisti”, “estremisti rossi” urlano i dirigenti di PO. Ma la risposta dei socialisti non tarda ad arrivare. Maciej Gdula, un intellettuale che siede tra gli scranni del Sejm, ribatte con un articolo su Krytyka Polityczna: “La Polonia è una questione più grande degli interessi di Budka. A lui interessa diventare il Kaczyński dell’opposizione, distribuire le carte e controllare i giocatori minori. Abbiamo posto alcune condizioni e le nostre richieste sono state accettate dal governo. Verrà istituito un comitato di monitoraggio, a cui parteciperanno esponenti sindacali e i rappresentanti delle istituzioni locali, per vigilare sulla gestione dei finanziamenti europei. Non potevamo privare il sistema sanitario, la nostra realtà produttiva di un sostegno del genere. In questo momento, inaugurare un governo tecnico significherebbe essere fautori di un colpo di Stato. Se vogliamo vincere contro PiS, dobbiamo raggiungere i suoi elettori”.
Sono proprio i progressisti a sposare l’etica della responsabilità costruendo, contemporaneamente, un’identità solida ed evidenziando una certa autonomia dai centristi con cui condividono il fardello dell’opposizione. L’eurodeputato di Lewica, Boguslaw Liberadzki, sostiene: “Bloccare il Fondo per la ricostruzione equivale a bruciare 58 miliardi di euro che potrebbe rinvigorire la nostra economia, introdurre un ‘green deal’, la digitalizzazione, i servizi pubblici. Ricordiamo che le economie in espansione di Germania e Francia rappresentano anche un mercato per i prodotti e i servizi polacchi”.
Un colpo di coda che spiazza i colonnelli di “Diritto e Giustizia” e i gradualisti di “Piattaforma Civica”. Domani andrà in scena l’ultimo atto. Lo annuncia Ursula von der Leyen: il voto sul Fondo Nazionale di Ricostruzione influenzerà il futuro dell’economia polacca. Verranno a galla i finti patrioti e coloro che antepongono l’interesse nazionale alla propria sopravvivenza nei sondaggi.
Si evince dal caso polacco, che il realismo politico e la lotta per l’egemonia possono costituire, nei momenti peggiori, un’uscita d’emergenza. Tornare a far politica è il modo migliore per servire il Paese, per responsabilizzare rappresentanti e rappresentati.
Se un impasto di fumo, sangue e macerie infesta l’Europa, colpita dal Covid-19, vuol dire che per la ricostruzione servono costruttori. Serve l’uomo nell’arena, il suo sudore e il suo coraggio, giusto per tirare in ballo il buon Theodore Roosevelt. I tecnici non bastano.