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Una super-religione? Il destino dell’umanità nel nuovo libro di Marco Ventura

Di Antonello De Oto

“Nelle Mani di Dio”, di Marco Ventura, edito da Il Mulino, è un libro anticipatore di scenari con la non comune capacità di trattare trasversalmente e su più piani – di sicuro quello giuridico, storico e sociologico – del destino dell’umanità in relazione a ciò che è stato e ai suoi bisogni escatologici. La recensione del prof. avv. Antonello De Oto, docente di Diritto Ecclesiastico italiano e comparato Alma Mater Studiorum – Università di Bologna

Nelle mani di Dio” di Marco Ventura è un libro solo apparentemente di facile lettura, ingannevole apparenza provocata dall’abilità divulgativa, calata nella chiarezza e profondità scientifica della penna del nostro autore. Avendo cura di scendere nei meandri delle tante piste che apre, il testo disvela complessi e intrecciati piani di riflessione scientifica, point of view che scarnificando l’accaduto e il profetizzato delineano il peso e il ruolo che sarà per il fattore religioso nel suo complesso.

I punti di contatto o per meglio dire, le linee di ragionamento di questa ricerca, non possono non ricondurre il lettore attento a progressioni di analisi già accennate in Jacques Attali nel suo “Breve storia del futuro” ma con l’accortezza da parte dell’autore del testo in analisi, pur spaziando notevolmente, di tenere la barra, l’angolo visuale principale ben puntato e proiettato sulle Chiese e il destino complessivo della spiritualità: sia quella “disordinata” dei singoli che quella “organizzata” dei gruppi.

In definitiva quello di Marco Ventura è un libro anticipatore di scenari con la non comune capacità di trattare trasversalmente e su più piani – di sicuro quello giuridico, storico e sociologico – del destino dell’umanità in relazione a ciò che è stato e ai suoi bisogni escatologici.

Il destino dunque, data la portata complessiva delle sfide in un mondo ferito e venduto ogni giorno in rete, sarà quello della super-religione?

Siamo immersi nell’era del digitale e mentre molti studiosi si attardano su un solo piano di ragionamento ovvero l’approssimarsi della fine della sacralità rituale per come l’abbiamo conosciuta nella primigenia lotta tra mythos e logos, Marco Ventura coglie e sottolinea la via nascosta che sta scavando nei nostri cuori la vera trasformazione: “…il secondo effetto, meno visibile e più profondo, è quello del costituirsi della trasformazione digitale stessa in religione” (p. 176).

Le mani di Dio in cui risiede ontologicamente il nostro comune destino sono minuziosamente analizzate dallo “scanner scientifico” dell’autore che decompone, dopo una necessaria premessa metodologica, in tre parti il senso del suo manifestarsi. La mano armata che attraversa il mai sopito anzi attualissimo tema delle fedi violente e della forza anche spirituale del messaggio di pace; la mano invisibile dove l’autore non si sottrae alla complessa analisi del tema della “mercantilizzazione” del sacro e dell’inverarsi del messaggio turbo-capitalista ovvero la “religione del mercato” tanto osteggiata da Walter Benjamin e David Loy. E l’ultima e più profetica mano aperta, a cavallo tra un Dio programmato, quello del dialogo tra le fedi e della diplomazia religiosa  e un Dio imprevedibile che risulta essere banalmente figlio di ciò che accade e che spariglia il ruolo “programmato” che la politica umana gli aveva assegnato. Manifestazione del sacro che oggi, in taluni contesti, diviene “intermittente”, soprattutto nell’Occidente secolarizzato preda di governi che cercano di incasellarla, piegarla alla fase e come ci ricorda l’autore, quando necessario, saper far sparire Dio dalla scena pubblica.

Sono le religioni ancora protagoniste del nostro tempo ma d’ora in avanti nel prisma di interpretazione delle loro tradizionali aree di intervento i confini sembrano sfumare e sciogliersi. Quasi che “nelle mani di Dio” il destino degli uomini sia legato alla loro complessiva capacità sincretica, di mischiare per salvare, di attenuare per sopravvivere, in definitiva di lavorare insieme per “…obiettivi più grandi…”(p. 11). Davvero un testo importante quello del prof. Ventura che non solo fotografa la fase ma disegna gli scenari avendo cura di trarre dal presente le linee d’azione per il futuro.

Quel futuro che sa di passato dove gli antichi popoli che abitavano la terra si nutrivano di spiritualità, di un Dio percepito ed identificato con elementi naturali, con simboli figli della stessa terra che li ospitava, elementi senza confini e senza controllo, così come senza confini saranno i problemi “globali” che si porranno in futuro agli abitanti della crosta terrestre. E la risposta non potrà che essere “globale” “…c’è una religione da convogliare verso grandi programmi della pace e dello sviluppo…” (p. 145) e le parole d’ordine della separazione sembrano perdere forza, non è più il tempo della laicità neutralità ma della laicità utile, quella che costruisce e non divide marcando spazi e questo perché “… non è tempo per tirare indietro la mano…” (p. 148). Problemi già da tempo divenuti di dimensioni sovranazionale come la povertà e la violenza allargheranno lo spettro e così anche l’antidoto della pace e dello sviluppo dovranno agire di conseguenza.

Anche le religioni diverranno attori permanenti e “liquidi”, chiamati in campo non solo per quanto fino ad ora ritenuto di stretta competenza ma per essere agenti e mediatori con e tramite il sacro di una nuova stabilità.

Per fare ciò dovranno tessere una relazione permanente fra loro che segua la strada del dialogo interreligioso travolgendo la prudenza dei paletti definitori di ogni singolo rivolo di Dio, per inverarsi in un attore globale unico che impedisca anche il processo di marginalizzazione delle religioni stesse, chiuse da tempo nel portato di regole e di identità che hanno prodotto l’effetto dissociante della “vicarious religion” per dirla con Grace Davie e che in un torno di tempo non lontano, ma da venire, rischia di soffocarle.

In definitiva “… si profila all’orizzonte una religione più grande, più potente e perciò più adatta alla sfide del nostro tempo…” (p. 11) quella super-religione che superando gli steccati di parte potrebbe essere la risposta. O forse soltanto la fine delle nostre identità per come le abbiamo conosciute. O entrambe le cose.

A noi la mossa. Se lavorare alacremente perché ciò si realizzi o combattere contro questa deriva.



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