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Semplificazioni, i tre nodi risolti (o quasi) secondo Becchetti

L’approccio nei confronti di questi tre nodi conferma che lo spirito è quello giusto. Sintesi e compromessi ragionevoli tra diverse esigenze avendo a mente una scala di priorità che alla fine mette d’accordo le forze di governo che spesso si presentano sul tema con posizioni contrapposte. L’analisi di Leonardo Becchetti

È molto difficile governare questo Paese e forse l’approccio del governo Draghi è uno dei migliori possibili. Mettere a bordo la gran parte dei partiti per minimizzare il fuoco di sbarramento contrario di media e opposizione politica. Cercare con il patrimonio di autorevolezza conseguito negli anni di risolvere all’interno frizioni, conflitti ed eterogeneità inevitabili tra le forze della coalizione. Trovare i punti di sintesi attraverso dialogo e concertazione sui nodi sul tappeto.

Così è stato sulla delicata questione delle semplificazioni. Tre a mio avviso i nodi fondamentali risolti o in via di risoluzione che ci aiutano a comprendere le linee generali dell’approccio.

Il primo è sul presunto conflitto tra semplificazione e sostenibilità sociale ed ambientale degli appalti. Qualcuno ha provato a far credere che per semplificare e ridurre i tempi di appalti e procedure la cosa migliore fosse buttare a mare l’esigenza di definire criteri minimi sociali ed ambientali. Per fortuna il governo è intervenuto con saggezza andando oltre l’equivoco, peraltro già risolto nel 1683 dal marchese di Vaubanne quando scriveva al ministro della guerra francese che “Eccellenza Ministro della Guerra, abbiamo opere di costruzione che trasciniamo da anni non mai terminate e che forse terminate non saranno mai. Questo succede, Eccellenza, per la confusione causata dai frequenti ribassi che si apportano nelle opere Vostre, poiché va certo che tutte le rotture di contratti, così come i mancamenti di parola ed il ripetersi degli appalti, ad altro non servono che ad attirarVi quali Impresari tutti i miserabili che non sanno dove batter del capo ed i bricconi e gli ignoranti, facendo al tempo medesimo fuggire da Voi quanti hanno i mezzi e la capacità per condurre un’impresa. E dire inoltre che tali ribassi ritardano e rincarano considerevolmente i lavori, i quali ognora più scadenti diverranno”. Il governo non ha ripetuto l’errore concentrandosi misure che favoriscono la semplificazione (ad esempio tempi certi per la valutazione d’impatto ambientale) senza sacrificare sostenibilità sociale ed ambientale (introducendo anzi tra i criteri di gara la rendicontazione non finanziaria dei criteri sociali e ambientali).

Un secondo nodo e ambito della semplificazione riguarda il 110%. L’International Energy Association ha recentemente delineato in un rapporto il percorso da fare per raggiungere l’ambiziosissimo obiettivo di emissioni nette zero nel 2050. La roadmap prevede che nel 2040 il 50% degli edifici nel mondo debbano diventare ad emissioni zero. Si capisce pertanto come strumenti come il 110% siano decisivi per muovere in tale direzione (e forse dovremmo chiedersi perché non abbiamo meccanismi d’incentivo altrettanto marcati su tutti gli altri ambiti della transizione ecologica come gli investimenti che introducono processi produttivi che risparmiano energia nei settori hard to abate). In Italia però il 110% si era inceppato per la complessità dei requisiti richiesti tanto da costringere il governo a ridurre lo stanziamento previsto per gli anni successivi nel Recovery Plan. Il governo poi per ridurre il gap tra fondi stanziati e fondi utilizzati ha eliminato il requisito della verifica di doppia conformità mantenendo solo quello di comunicazione di inizio lavori (CILA). Ma soprattutto ha ammesso al superbonus immobili con abusi parziali (non con quelli totali). Questo non vuol dire essere a favore degli abusi edilizi ma soltanto capire che il superbonus è uno strumento di policy per realizzare l’obiettivo della transizione ecologica e non quello del contrasto agli abusi edilizi (che non è tra le priorità necessarie per raggiungere emissioni zero nel 2050).

Un terzo nodo ed ambito su cui ci sarà ancora da lavorare è quello del malfunzionamento delle aste per la realizzazione di impianti che producono energia rinnovabile per via delle incertezze su tempi e possibilità di realizzazione e lo scontro con le sovrintendenze. È necessario trovare anche qui un punto d’incontro. Non si capisce infatti perché il tetto dell’aula Nervi può essere coperto di pannelli fotovoltaici (il Vaticano ha evidentemente autorizzato) e sia molto più difficile realizzare gli stessi impianti sui tetti della capitale (che visti dall’alto non sono opere d’arte puntellati come sono di parabole ed antenne).

L’approccio nei confronti di questi tre nodi conferma che lo spirito è quello giusto. Sintesi e compromessi ragionevoli tra diverse esigenze avendo a mente una scala di priorità che alla fine mette d’accordo le forze di governo che spesso si presentano sul tema con posizioni contrapposte.
Un buon metodo, uno dei pochi forse possibili. E la nave del Paese va.


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