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Una strategia europea per Spazio e Digitale. La proposta di Darnis

Come può l’industria europea reggere la competizione di Elon Musk e Jeff Bezos? Lo Spazio può restare separato dalla rivoluzione digitale? L’Ue è pronta a riformare il suo approccio? Le risposte di Jean-Pierre Darnis, consigliere scientifico allo Iai e ricercatore associato alla Fondation pour la recherche stratégique

Il 26 marzo SpaceX ha centrato il centesimo lancio di fila del razzo Falcon 9 senza fallimento. È dal 2015 che la serie prosegue indisturbata. Nel 2021 ha già lanciato 16 razzi Falcon, con un totale di 28 lanci dedicati ai satelliti della costellazione Starlink. Nel frattempo, in Europa, il lanciatore Vega è ripartito, dopo due fallimenti, per il suo 18esimo volo, mentre si aspetta il debutto del vettore Ariane 6 per il 2022.

La situazione europea sembra tutt’altro che tranquilla, con numerose interrogazioni sulla validità delle scelte tecnologiche. Mentre la Francia spinge per passare velocemente al post-Ariane 6 introducendo tecnologie dirompenti (il ritorno dei razzi e la propulsione liquida a basso costo), la Germania da un lato difende lo status quo attuale, e dall’altro intende lasciar spazio ad aziende emergenti come Sar Aerospace, RFA (OHB) o Hympulse technologie. Esiste il rischio di distacco pericoloso dalle capacità spaziali statunitensi, talmente affidabili ed economiche da mettere di fatto fuori gioco gli altri player.

Ma l’enorme pressione sul mercato dei lanciatori non sarebbe nulla se non fosse integrata con le finalità, ovvero con il lancio di costellazioni composte da centinaia, se non migliaia, di satelliti. Da questo punto di vista, i progetti Starlink di SpaceX o Kuiper di Blue Origin (fondata da Jeff Bezos, ceo di Amazon) sembrano estremamente significativi, con la volontà di disporre nel breve termine di una costellazione globale di telecomunicazione e trasmissione dati per copertura mondiale in banda larga. Inoltre, si prospetta l’integrazione dei sistemi di telecomunicazioni terrestri ed extra-terrestri, in una visione complessiva che associa l’ambiente lunare a quello terrestre. Il rilancio attuale dell’esplorazione extra-atmosferica si inserisce quindi dentro questa strategia.

L’accordo fra Starlink e Microsoft Azure, e la prospettiva di uso integrato fra Amazon Web Services e Kuiper illustrano la fusione in corso tra capacità di telecomunicazione satellitare e gestione del cloud. Tra l’altro, anche gli investimenti cinesi in materia (costellazioni Hongyan , Hongyun e Xingyun) possono integrarsi con delle piattaforme come Alibaba o Tencent.

Da questo punto di vista, le costellazioni rappresentano un pezzo ulteriore di infrastruttura critica che può aumentare la capacità di integrazione verticale di aziende presenti sull’intera catena del “data”, dai sensori alle piattaforme, passando per le reti di comunicazione. Il mercato delle telecomunicazioni via satellite viene dipinto da parte degli analisti come in via di espansione, con prospettive di decine, se non di centinaia, di miliardi di dollari all’anno, una torta ghiottissima alla quale Elon Musk sta già puntando.

Si tratta di una visione “totale” che può ulteriormente ampliare le capacità degli giganti del Tech più moderno. Lo spazio targato Musk/Microsoft o Bezos/Amazon non è un’attività isolata, ma piuttosto la più evidente manifestazione di una nuova competizione per il prestigio internazionale e del ritorno all’idea pioneristica di conquista. Inoltre, appare un’ulteriore dimensione dell’enorme potenza industriale delle piattaforme di dati, in qualche modo un’estensione del dominio sui dati e la tecnologia.

Tale fenomeno in corso porta con sé importanti interrogativi. Lo spazio europeo rappresenta per certi versi un settore di eccellenza tecnologica. Le industrie spaziali del Vecchio continente sono presente su tutti i segmenti. E se fino a qualche tempo fa l’Europa sembrava anche avere perso il treno delle costellazioni, le notizie più recenti sembrano smentirlo. Eutelsat, società a controllo pubblico francese, ha recentemente acquisito il 24% di OneWeb, raggiungendo il governo inglese e il gruppo indiano Bharti al capitale della più antica costellazione satellitare di telecomunicazioni, che spicca non soltanto per capacità e prospettive (sono previsti 650 satelliti l’anno prossimo) ma anche perché è la prima ad avere chiesto e ottenuto frequenze di fronte alla FCC statunitense, un asset notevole nel contesto della crescente competizione in materia. D’altro canto la Commissione europea, sotto la spinta del commissario Thierry Breton, ha recentemente lanciato uno studio di fattibilità e poi un programma di costellazione di telecomunicazioni a banda larga. Osserviamo quindi alcuni passi concreti per recuperare il ritardo in materia, o almeno non essere completamente distanziati.

Ma bisogna oggi chiedersi se le industrie spaziali possono sopravvivere fuori da un ecosistema industriale di integrazione dei dati. In Europa abbiamo società spaziali con ottime capacità tecnologiche, come ArianeGroup, Avio, Thales Alenia Space, Airbus, Telespazio, ma non esistono piattaforme di integrazione tecnologica paragonabili a quelle statunitensi. Se escludiamo il controllo delle società spaziali europei da parte di gruppi non europei, anche a nome della difesa delle industrie strategiche, allora si pone con forza il problema di una maggiore integrazione industriale al livello europeo, nonché quello dell’assorbimento delle tecnologie spaziali all’interno di gruppi che possano consolidare l’offerta sul trattamento e la trasmissione dei dati. Potrebbe trattarsi di un salto in avanti, anche per la profittabilità di un settore che verrebbe incluso in un flusso di forte valore aggiunto economico. Nel panorama statunitense aziende che sembravano una volta in una posizione di assoluto dominio come Boeing o Lockheed Martin sono oggi in affanno per stare al passo tecnologico di SpaceX, e non sembrano in grado di posizionarsi sul mercato del futuro, quello della fornitura di servizi. Questa logica esula del classico perimetro dei gruppi di aerospazio e difesa, del tipo Leonardo o Airbus, che sembrano troppo poco data-oriented e hanno difficoltà a proiettarsi come operatori di servizi digitali, vincolati alla loro eredità di produttori di tecnologica.

Inoltre, la creazione di incentivi per sviluppare un’industria del cloud europeo, anche tramite il progetto Gaia-X, non sembra per il momento in grado di permettere l’emersione di gruppi che abbiano la taglia critica necessaria a una logica di integrazione industriale sull’insieme della catena dei dati. Ci si può interrogare sul futuro degli operatori di telecomunicazioni, come Orange, Deutsche Telekom o Telecom Itali,a che potrebbero rappresentare perni europei di integrazione, a patto di non perdere troppo terreno sulla parte cloud, come sta però avvenendo. Possono anche esistere ulteriori prospettive con gruppi che mutano da un’industria tradizionale a quella dei dati, anche spinti dalla loro consuetudine con il consumatore. Ad esempio, nel panorama italiano, aziende come Intesa, Unicredit, Generali, Enel o Eni possano rappresentare un mix fra capacità di capitali, redditività, radicamento nei rapporti con il consumatore e quindi nella raccolta dati che, alleato a una buona dose di trasformazione tecnologica, potrebbe fare assumere a questi gruppi una visione prospettica che colga la necessità non solo di svilupparsi sul proprio mercato, ma anche di non essere fagocitati dalle piattaforme statunitense, e quindi di consolidare ecosistemi di dati e tecnologia, se non completamente alternativi a quelli statunitensi, quantomeno con large fette di autonomia.

L’Europa si trova di fronte a un quadro complesso. Il mantenimento della ricchezza e delle condizioni di sovranità democratica sono legate alle capacità di controllo su dati e tecnologia. Anche se le capacità tecnologiche e scientifiche europee sono eccellenti, come evidente per il settore spaziale, la loro frammentazione rischia di renderle ancillari rispetto all’accelerazione in corso. Il progetto di direttiva europea sul settore digitale affronta la questione dell’antitrust, cioè di limiti da porre alla concentrazione delle piattaforme: una parziale soluzione. Ci si deve porre anche la questione della crescita di gruppi europei transfrontalieri in grado di sviluppare integrazioni tecnologiche avanzate, legate a una presenza sul mercato dei dati. Ciò richiederebbe una visione riformatrice da parte dei principali azionisti, anche statali, nonché l’adeguazione della politica europea di concorrenza. Può sembrare un ragionamento astratto e lontano dalla questione spaziale, ma in realtà, se si guarda alla prospettiva statunitense, non lo è. La via europea all’eccellenza settoriale, giustamente sostenuta da finanziamenti pubblici, potrebbe non bastare più.

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