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La Turchia vuole entrare nella Difesa europea. Ci riuscirà?

Cavallo di Troia o un’occasione per ricostruire la fiducia con Ankara? È la domanda dell’Ue sulla richiesta turca di ingresso nel progetto Pesco per la “mobilità militare”, presentata ufficialmente all’Olanda, che guida i lavori. Il programma è importante, ma la strada per Erdogan è in salita. Eppure…

La Turchia vuole entrare nella Difesa europea. Ankara ha presentato richiesta formale di adesione alla cooperazione strutturata permanente (Pesco), e in particolare al progetto per la mobilità militare che preme tanto a Stati Uniti e Nato. Servirà però il via libera degli altri partecipanti, compresi Grecia e Cipro, poco propensi a ricostruire il dialogo con i turchi. D’altra parte, l’eventuale ingresso potrebbe permettere di ricostruire la fiducia reciproca, sfruttando i livelli più operativi, lontani dalla propaganda della politica.

LA RICHIESTA

La notizia della richiesta turca è stata riportata domenica dal settimanale tedesco Welt am Sonntag, poi confermata da Euractiv. Riguarda un progetto specifico della Pesco, quello per la “Military mobility” per il quale, un paio di settimane fa, il Consiglio dell’Ue ha approvato l’invito formale di adesione a Stati Uniti, Canada e Norvegia. È il primissimo caso di apertura della nuova Difesa comune ai Paesi extra-Ue, benvista soprattutto da Washington e dalla Nato, da sempre sostenitrici di un percorso europeo in linea con l’Alleanza Atlantica, evitando sovrapposizioni e duplicazioni. La stessa linea è, tra gli altri, sostenuta dall’Italia, come ha spiegato a più riprese il ministro Lorenzo Guerini. In tali pieghe si inserisce il tentativo della Turchia, membro importante della Nato.

IL PROGETTO

Il progetto per la “Military mobility” è l’unico tra i 47 programmi Pesco già avviati a vedere la partecipazione di ben 25 Paesi, cioè tutti quelli che hanno aderito alla Pesco stessa. A guida olandese, punta a semplificare e standardizzare le procedure per i trasporti militare all’interno dei confini europei. Si tratta di snellire le procedure burocratiche per i passaggi lungo tutte le linee di comunicazione, ma anche di verificare l’adeguatezza delle infrastrutture. Evidentemente, il tema interessa la Nato, intenzionata a migliorare la capacità di proiezione delle forze in Europa.

UNA CAPACITÀ CRUCIALE

Lo scorso novembre, la prima edizione della revisione coordinata annuale sulla difesa (Card) dell’Ue, collocava la mobilità militare tra le “sei capacità cruciali”, insieme a velivoli del futuro e carri armati di nuova generazione. Come loro, anche la “Military mobility” è ritenuta “di forte impatto”. Lo è da tempo, tanto che la Commissione aveva proposto (ormai nel lontano 2018) ben 6,5 miliardi di euro per lo strumento della “Connecting Europe Facility”, nell’ambito del bilancio settennale 2021-2027. Poi, i vari negoziati al Consiglio europeo, l’hanno portata a 1,5 miliardi.

IL REGOLAMENTO PER LA PESCO

A consentire l’ingresso di Usa, Canada e Norvegia, e ad aprire un margine per la Turchia c’è il regolamento approvato a inizio novembre dal Consiglio dell’Ue. Consente la partecipazione “eccezionale” ai progetti Pesco per Paesi esterni all’Unione. Lo possono fare “su invito”, stante il rispetto di alcune condizioni “legali, politiche e sostanziali”. Quelle politiche riguardano soprattutto la condivisione dei principi dell’Ue e della piena convergenza agli interessi di sicurezza e difesa dell’Unione e degli Stati membri. Quelle sostanziali parlano di “fornire un valore aggiunto al progetto” in termini expertise tecnico o capacità in più, incluso supporto operativo o finanziario. Gli aspetti legali riguardano invece la necessità di un accordo sulla sicurezza delle informazioni che lo Stato terzo deve avere con l’Ue (e con l’Agenzia europea per la Difesa, Eda, se coinvolta).

IL PROCESSO

Per quanto riguarda la procedura, dopo che lo Stato terzo ha fatto richiesta di partecipare, deve essere accettato all’unanimità dai Paesi Ue già aderenti al programma Pesco in questione, che nel frattempo avranno notificato la possibilità al Consiglio e all’Alto rappresentante. Spetta al Consiglio la decisione finale e la verifica delle suddette condizioni. Una volta arrivato il via libera, lo Stato terzo deve negoziare con gli altri Paesi partecipanti un “administrative arrangement” per definire inizio, durata, termine e fasi della partecipazione. Quest’ultima è inoltre soggetta a “revisione periodica” sul rispetto delle condizioni.

LE DIFFICOLTÀ

Con tali dinamiche dovrà confrontarsi la richiesta turca, già formalmente presentata all’Olanda, capofila del programma per la Military mobility. “I Paesi Bassi, in qualità di coordinatore del progetto, hanno indicato che la richiesta sarà valutata dai membri, in linea con le procedure stabilite, così come per le precedenti richieste”, ha spiegato a Euractiv Peter Stano portavoce del Consiglio dell’Ue. Il processo “è in corso”, ha aggiunto. Gli ostacoli sono due. Prima di tutto, le condizioni “sostanziali”, e in particolare la condivisione dei valori dell’Ue. Poi, il necessario via libera di tutti i partecipanti, tra cui figurano anche Grecia e Cipro, i quali hanno con Ankara più di qualche questione aperta. È per questo che la strada per la Turchia nella Pesco pare al momento in salita. Anche la Francia ha sposato la linea dura nei rapporti con Ankara, conservando tra l’altro un approccio per una Pesco meno inclusiva possibile (così da poter essere più operativa). Germania e Italia sembrano invece più inclini al dialogo.

IPOTESI DI FIDUCIA

D’altra parte, l’ingresso turco nella Pesco potrebbe essere utile strumento per ricostruire i rapporti di fiducia. Lo scorso autunno, quando nel Mediterraneo orientale si rischiava l’escalation militare, la tensione si iniziò ad abbassare grazie a un tavolo puramente tecnico, offerto dal meccanismo di de-confliction messo in piedi dalla Nato, con tanto di linea rossa tra Atene e Ankara per evitare incidenti e incomprensioni che avrebbero potuto ingenerare una crisi pericolosa. Lontani dai toni dell’alta politica (spesso carichi di propaganda), gli ambiti operativi hanno permesso un dialogo proficuo, sfruttando canali di contatto tradizionali a livello militare e diplomatico. Lo stesso potrebbe avvenire per la Pesco. La “Military mobility” riguarda soprattutto procedure burocratiche e pianificazioni militari, settori tecnici su cui poter, eventualmente, costruire la reciproca fiducia.

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