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Sicurezza, il 6G non è così lontano. Parla il prof. Marconi (Sapienza)

Il dibattito sulle reti 5G è ancora molto acceso, specialmente in Europa. Sono molti i Paesi che non hanno ancora attivato la rete di quinta generazione, e sono altrettanti gli Stati preoccupati del fattore “sicurezza.” Questo però non ha frenato l’industria, specialmente quella statunitense, nel pensare già al 6G. Conversazione con il prof. Matteo Marconi, docente di Geopolitica presso La Sapienza e membro del consiglio didattico scientifico del Master di II livello in Geopolitica e Sicurezza Globale

La sesta generazione di comunicazione non è così lontana dalla nostra realtà e in molti credono arriverà per il 2030. Si prevede che il 6G potrà supportare la velocità di 1 terabite (Tbps) di dati al secondo e che le frequenze più alte permetteranno tassi di campionamento molto più veloci. La paura, però, è che la Cina sfrutterà gli strumenti di rete 6G create dalle aziende nazionali per i propri fini di intelligence o militari, oltre a dominare (forse) il mercato.

Tecnologie come il 5G e 6G implicano delle conseguenze geopolitiche non da poco, specialmente in materia di sicurezza nazionale. Per questo motivo ne abbiamo parlato insieme al professor Matteo Marconi, docente di Geopolitica presso La Sapienza e membro del consiglio didattico scientifico del Master di II livello in Geopolitica e Sicurezza Globale.

Secondo lei, il dibattito “sicurezza” riguardante il 5G quanto ha realmente influenzato l’attivazione della rete? Oppure, la “lentezza” è stata solamente una scelta geopolitica?

Ci sono diversi motivi che giustificano la “lentezza” nell’attivazione della rete 5G. Prima di tutto, stiamo parlando del settore delle telecomunicazioni, strettamente legato all’industria high tech e sempre più al centro della competizione geopolitica. La Cina è arrivata per prima con Huawei e i competitori hanno sofferto del ritardo con cui si sono mossi. Gli Usa anche per questo hanno cercato di ostacolare l’azienda cinese, facendo pressioni sugli alleati per escluderla dalle gare. Ma anche il dibattito sulla “sicurezza” del 5G ha avuto il suo peso, trattandosi di infrastrutture critiche: attraverso di esse passano le informazioni sensibili dei cittadini, delle aziende e dei governi. Entrambi gli aspetti hanno inciso su questa “lentezza”.

Molte industrie hanno già iniziato a sviluppare possibili reti 6G, come ad esempio negli Stati Uniti. Le lezioni apprese dall’esperienza precedente potrebbero fornire una guida per come si svilupperà il 6G e, cosa più importante, per chi dominerà questo nuovo campo?

Per rispondere a questa domanda credo possa essere utile sottolineare l’elemento “spaziale” della competizione tecnologica tra Occidente e Cina. Se applichiamo il modello “deinometrico” di Francesco Barbaro, si vede come Usa e Ue siano caratterizzati da alti valori di interdipendenza e di competizione: una condizione che sottopone i Paesi occidentali a stress continuo, senza che essi siano in grado (sinora) di cooperare fattivamente per dare una risposta comune al 5G cinese. Quanto al 6G, l’esito della sfida dipenderà dalla capacità degli occidentali di prendere atto di ciò e di cominciare da subito a unire le forze per arrivare preparati all’appuntamento. A tal proposito, si prenda a modello positivo l’esperienza di Galileo (sottolineata dallo stesso Barbaro), il sistema satellitare con cui l’Europa si è dimostrata in grado di far cooperare le sue principali aziende del settore.

Sarà la Cina o saranno gli Stati Uniti a uscire vincenti da questa “guerra” tech? E, nel caso in cui fosse la Cina, come reagirà l’Unione Europea? Useremo mai il 6G?

È difficile dirlo, la “guerra” tech sarà lunga e probabilmente non avrà un vero vincitore, anche perché ogni nuovo prodotto tecnologico è una sfida a sé. Sul 6G si parte da zero e, come abbiamo detto, molto dipenderà da quanto gli USA e l’UE saranno capaci di fare tesoro degli errori commessi col 5G. Comunque, anche se ad avere la meglio fosse la Cina, sarà difficile fare a meno del 6G. Molto probabilmente cominceremo a usarlo dal 2030, i progetti sono avviati ma ovviamente richiedono almeno un decennio per essere sviluppati e attivati.


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