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Afghanistan, fine della missione italiana. Cosa resta?

Al comando del generale Beniamino Vergori, gli ultimi militari italiani impegnati in Afghanistan sono rientrati ieri a Pisa. È ufficialmente terminato l’impegno militare più rilevante per l’Italia dal secondo dopoguerra. Ora i riflettori sono puntati sul futuro dell’Afghanistan, e non certo con ottimismo…

Dopo vent’anni dall’avvio dell’impegno, si è ufficialmente conclusa ieri la missione italiana in Afghanistan. L’ultimo manipolo di militari ha fatto rientro in serata presso l’aeroporto militare di Pisa, guidato dal generale Beniamino Vergori, comandante del contingente che è stato, fino a poco fa, responsabile ad Herat del settore ovest della missione Nato Resolute Support. È stato uno degli impegni più rilevanti per la Difesa italiana dalla fine della Seconda guerra mondiale, con l’impiego di oltre 50mila militari, lo sviluppo di tecniche operative, il confronto diretto con gli avversari e l’impiego di assetti in scenari di guerra. Tutto sarà da analizzare per capire come meglio affrontare le minacce attuali e future.

IL RITIRO

L’Italia lascia l’Afghanistan dopo vent’anni, quando l’Alleanza Atlantica fece scattare, per la prima volta nella sua storia, l’articolo 5 del Patto transatlantico, la clausola di difesa collettiva, in seguito agli attacchi contro gli Stati Uniti dell’11 settembre 2001. Iniziava allora la “war on terror”, concretizzatasi in Afghanistan con la missione Isaf e poi, dal 2015, con Resolute Support. “In together, adjust together, out together” è stato il motto della Nato da oltre un anno, da quando cioè gli Stati Uniti hanno palesato l’intenzione di ritiro. L’ufficialità è arrivata lo scorso aprile, con l’annuncio di Joe Biden contestualmente alla decisione ministeriale della Nato: via tutti entro l’11 settembre 2021, data evidentemente simbolica.

L’IMPEGNO AMERICANO

L’Italia (come la Germania, secondo contributore dopo gli Usa) ha anticipato la scadenza ed è ora fuori dal Paese. L’impegno si è focalizzato in questi anni su formazione, consulenza e assistenza alle “Afghan Security Institutions” e alle “Afghan National Defence Security Forces” a livello ministeriale, istituzionale, e al livello operativo. “Voglio ricordare con gratitudine i 723 feriti e con profonda commozione le 53 vittime italiane che hanno perso la vita al servizio della Repubblica”, ha detto il ministro Lorenzo Guerini in occasione della conclusione della missione. “Con il rientro dell’ultimo uomo del contingente italiano, è terminato in totale sicurezza un imponente sforzo logistico e operativo condotto con puntualità e sicurezza dalle nostre Forze armate”.

IL FUTURO

Ora i riflettori sono puntati sul futuro dell’Afghanistan senza le forze Nato, in una situazione che resta incandescente visto l’attivismo militare dei talebani. Non è un caso che lo scorso venerdì siano volati a Washington il presidente Ashraf GhaniAbdullah Abdullah, presidente dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale. Hanno incontrato Joe Biden, Lloyd Austin (capo del Pentagono) e numerosi funzionari dell’amministrazione. Un incontro arrivato a due giorni dalla rivelazioni del Washington Post sul nuovo report dell’Intelligence Usa, che ha rivisto al ribasso le previsioni sul futuro del Paese dopo che sarà completato il ritiro delle forze della Nato: l’Afghanistan potrebbe tornare in mano ai talebani nel giro di sei mesi. Anche per questo, la presenza di militari statunitensi nel Paese potrebbe attestarsi a 650 unità anche dopo il completamento del ritiro, ormai giunto al termine (mancherebbero poche settimane). A inizio anno erano 3.500 i miliari Usa presenti in Afghanistan, già dimezzati in scia al piano progressivo predisposto da Donald Trump. La presidenza Biden ha confermato (come promesso in campagna elettorale) la via del ritiro, posticipando però il suo completamento al ventesimo anniversario dell’attacco che ha dato il via alla “war on terror”.

UN ABBANDONO?

Vista la situazione delicata in cui si trova l’Afghanistan, il messaggio (trasversale ai Paesi Nato) punta a evitare la retorica dell’abbandono. “Non termina l’impegno della comunità internazionale, Italia in primis, per l’Afghanistan che continuerà in altre forme, a partire dal rafforzamento della cooperazione allo sviluppo e al sostegno alle istituzioni repubblicane afghane”, ha spiegato oggi Guerini oggi. Annunciato il piano di ritiro ad aprile, Biden notava  che “il lavoro diplomatico ed umanitario” degli Usa continuerà anche una volta conclusa la presenza militare. È proprio la presenza diplomatica a permettere il mantenimento di una discreta componente di force protection (si parla appunto di 650 unità). Per l’Italia, ad aprile Luigi Di Maio parlava di “progetti di cooperazione allo sviluppo, con il sostegno alle imprese, con il sostegno alla società civile, con la tutela dei diritti umani”.

I RISULTATI RAGGIUNTI

Anche perché bisogna preservare i risultati raggiunti. In vent’anni, ha ricordato di recente Guerini, “il nostro personale ha portato a termine progetti di cooperazione civile e militare, per un corrispettivo di oltre 46 milioni di euro, che hanno incluso la costruzione di 82 scuole, 37 strutture medico-ospedaliere, 784 pozzi e la realizzazione di più di cento chilometri di strade e di oltre 30 infrastrutture per le forze di sicurezza e le varie istituzioni afghane”. Complessivamente sono state condotte oltre 53mila attività , “tutte di elevatissimo livello, con l’addestramento diretto o indiretto di più di ventimila militari afghani”. L’auspicio è che le forze afghane possano ora badare alla sicurezza del Paese. Su questo manca però l’ottimismo, tanto che il summit Nato di Bruxelles del 14 giugno ha confermato la possibilità di mantenere attività di training anche al di fuori dei confini dell’Afghanistan. A Kabul resterà inoltre l’ambasciatore Stefano Pontecorvo, alto rappresentante civile della Nato in Afghanistan.

I PIANI (TURCHI) PER L’AEROPORTO

Di più: “Riconoscendo la sua importanza per una presenza diplomatica e internazionale duratura, nonché per la connettività dell’Afghanistan con il mondo, la Nato fornirà finanziamenti per garantire il funzionamento continuo dell’aeroporto internazionale Hamid Karzai di Kabul”. Per il suo controllo si è già candidata la Turchia. “A differenza di altri contingenti della Nato, la Turchia si è sempre mantenuta le mani libere nel Paese, infatti, concentrando le sue forze su Kabul e mettendo molta attenzione nel mantenere un ruolo defilato anche nei confronti dei talebani nelle fasi più critiche del conflitto”, ci spiegava il generale Marco Bertolini, già comandante del Coi e capo di Stato maggiore delle forze Isaf in Afghanistan.



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