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Ombre cinesi dietro il Pnrr? I timori Usa su verde e digitale

Il segretario di Stato americano Antony Blinken loda l’Italia sul 5G, ma mette in guardia sul Pnrr: “Controlli sull’origine degli investimenti”. Le mire cinesi sui miliardi del Recovery per le transizioni verde e digitale preoccupano Washington

Promosso a pieni voti dalla Commissione europea, il Piano per la ripresa e la resilienza dell’Italia sta per partire. Entro luglio sono attesi i primi 24,9 miliardi dei 191,5 totali. Ora bisogna vigilare sulla gestione di quei fondi, finanziati con emissioni di debito comune dell’Unione europea. Dietro l’angolo c’è la Cina. È questo il segnale che arriva da Washington all’indomani degli incontri del Segretario di Stato Antony Blinken.

Il numero uno della diplomazia statunitense, che a Roma ha incontrato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ha rilasciato un’intervista a Repubblica. Rispondendo a una domanda del direttore Maurizio Molinari sulle mire cinese su telecomunicazioni e porti italiani, Blinken ha risposto: “L’Italia ha fatto un lavoro cruciale per proteggere il proprio network 5G dalla partecipazione di ‘venditori inaffidabili’. La vostra legislazione su questo tema è di grande valore”. E il riferimento è al Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica e all’esercizio dei poteri speciali per diversificare i fornitori dopo i rischi per la sicurezza posti dalle aziende cinesi – Huawei e Zte – accusate dagli Stati Uniti di spionaggio per conto del governo di Pechino. Poi il segretario ha proseguito così: “Al tempo stesso è molto importante che quando arrivano investimenti da altri Paesi si effettuino i controlli necessari sulla loro origine. Soprattutto tenendo presenti le esigenze della sicurezza nazionale, dell’Italia come di altri Paesi”.

Il piano italiano, come detto, rappresenta una partita da 191,5 miliardi di euro (68,9 di sovvenzioni e 122,6 di prestiti). Il 37% della spesa totale è destinato alla transizione verde con misure di sostegno agli obiettivi climatici: 32,1 miliardi di euro per la mobilità sostenibile; 12,1 per l’efficienza energetica degli edifici residenziali; 11,2 per l’energia rinnovabile e l’economia circolare. Il 25% a misure che favoriscono la transizione digitale: 6,7 miliardi di euro per lo sviluppo delle reti a banda ultra-larga e 5G; 13,4 per la digitalizzazione delle imprese; 6 per la digitalizzazione della Pubblica amministrazione.

Anche il Corriere della Sera si è occupato degli avvertimenti statunitensi. Il piano per la ripresa europea ha “fatto capolino nelle conversazioni istituzionali” del Segretario di Stato, scrive il quotidiano sottolineando come la Cina sia stata in cima all’agenda dei vari colloqui tenuti dall’emissario del presidente Joe Biden. “Il rischio, ben chiaro agli americani come agli europei, è che parte delle centinaia di miliardi di euro del Recovery vadano a finire in Cina, piuttosto che alle aziende europee”, nota il Corriere evidenziando che Washington, prima di Roma, aveva messo in guardia Parigi, dove il Segretario Blinken è stato alla fine della scorsa settimana.

E viene naturale ipotizzare che l’abbia fatto anche con Berlino, prima tappa del suo viaggio in Europa, dove accanto alla cancelliera Angela Merkel si è spinto a dire che “gli Stati Uniti non hanno migliore amico al mondo della Germania”. Che ciò corrisponda al vero o meno, si tratta di un segnale chiaro al Paese che ha ormai da cinque anni consecutivi la Cina come partner commerciale.

Nonostante l’ondivago Movimento 5 Stelle, da Washington trapela una fortissima impronta di fiducia sull’attuale governo italiano. Se sul fronte tecnologico Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica e normativa Golden power sembrano offrire buone garanzie (pur essendo quest’ultima stata utilizzata nella stragrande maggioranza dei casi per prescrizioni e non per veti), la transizione verde alimenta qualche preoccupazione in più. Anche perché in passato l’Italia, come la Germania, ha di fatto sussidiato l’enorme sviluppo cinese nel campo dei pannelli solari.

Negli ultimi giorni l’amministrazione Biden ha annunciato sanzioni contro alcune aziende cinesi leader nella produzione di componenti per i pannelli solari, che, stando a quando spiegato da Washington, accettano o utilizzano il lavoro forzato nel quadro della campagna di repressione della Repubblica popolare cinese contro i gruppi di minoranza uigura nella regione autonoma dello Xinjiang. Inoltre, ha pubblicato il rapporto sulla Supply Chain Review, una valutazione delle vulnerabilità delle catene di approvvigionamento nazionali con l’intento di rafforzarne, laddove necessario, la resilienza. Tra le varie considerazioni, risalta l’identificazione di quattro settori in cui sono state riscontrate potenziali criticità per la sicurezza nazionale: produzione di semiconduttori e dispositivi di microelettronica avanzata; batterie ad alta capacità, come quelle per veicoli elettrici; minerali e materiali critici; prodotti farmaceutici e principi attivi farmaceutici.

L’amministrazione Biden è decisa a scommettere sulla grande forza di mercato che si svilupperà nei prossimi anni in Europa per dare vita a un’alternativa transatlantica alle tecnologie green cinesi. “E visto che ieri si è preso atto con soddisfazione dell’accordo fra il consorzio europeo Airbus e l’americana Boeing, non è da escludere che sulla trasformazione energetica americani ed europei possano siglare intese strategiche per i prossimi anni”, nota il Corriere.


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