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Blocco degli sfratti, la rivolta dei proprietari. C’è un giudice a Strasburgo

Di Federico Marini Balestra

L’avvocato Federico Marini Balestra (partner di Bird & Bird) spiega perché il blocco degli sfratti, prorogato di tre mesi in tre mesi, viola non solo i diritti dei proprietari di casa, ma anche le regole del buon senso. Ora la questione è in mano alla Corte europea dei diritti dell’uomo

1. Ci sarà un giudice europeo a Strasburgo!

Come nella nota vicenda storica ripresa dal grande drammaturgo tedesco Bertolt Brecht, in cui un mugnaio lottava per mantenere la proprietà del proprio mulino avverso un capriccio del locale feudatario, anche in questo caso è possibile rivolgersi ad un giudice superiore per tutelare i diritti di proprietà, indebitamente compressi dal Legislatore nazionale ormai da oltre un anno.

Questo giudice è la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), l’organo giurisdizionale internazionale istituito nel 1959 dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, cui l’Italia ha aderito sin dall’inizio.

La CEDU non è un organo eurounitario e non deve essere confusa con la Corte di Giustizia: essa, infatti, non fa parte dell’ordinamento dell’Unione Europea, bensì del diritto internazionale (cui comunque tutti gli Stati Membri della UE hanno aderito).

Rispetto agli altri giudici internazionali, la Cedu presenta una rilevante particolarità: essa può essere direttamente adita dalle persone, fisiche o giuridiche, che lamentano una violazione dei propri diritti garantiti dalla Convenzione.

In altri termini, gli individui possono “fare causa” ad uno degli Stati firmatari per lamentare una violazione dei propri diritti e ottenere dalla Cedu una “equa soddisfazione” di natura pecuniaria.

Ciò a condizione che essi abbiano esaurito tutti i rimedi giuridici di tutela disponibili a livello interno.

La CEDU non è, infatti, un organo di appello nazionale: essa interviene solo allorché lo Stato, in tutte le sue articolazioni, incluso il potere giudiziario, si sia pronunciato definitivamente su una vicenda, con lesione dei diritti dell’uomo.

Il principio dell’esaurimento dei rimedi nazionali non si applica, tuttavia, all’Italia nel caso in cui, come quello di specie, la lesione derivi direttamente da una legge.

Ciò perché solo la Corte Costituzionale potrebbe accertare l’illegittimità di una fonte primaria, che resta, nelle more del suo giudizio, vincolante erga omnes. Tuttavia, gli individui non hanno accesso diretto alla Consulta, cui può rivolgersi solo un giudice, con la conseguenza che il suo intervento è solo eventuale (v., ad esempio, causa Parrillo v. Italia, sentenza 27 agosto 2015, §101). Per tale ragione, in tali casi, è ammissibile il ricorso diretto alla CEDU.

Peraltro, diversamente dalla Corte Costituzionale (cui si sono già rivolti i giudici di Trieste e Piacenza, lamentando l’incostituzionalità del blocco), la CEDU può condannare lo Stato anche al risarcimento del danno.

Quest’ultimo rappresenta, per gli interessati, un ristoro sicuramente più adeguato della semplice declaratoria di illegittimità della Consulta, che interverrà (auspicabilmente) quando la contestata legge avrà ormai terminato i suoi effetti lesivi.

2. Il blocco degli sfratti

La vicenda nazionale è nota.

Nell’ambito delle prime misure emergenziali, con Dpcm 9 marzo 2020 e Decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18 (convertito con Legge n. 27/2020), lo Stato italiano ha sospeso tutte le procedure di rilascio degli immobili (sfratti), sia per morosità che per scadenza contrattuale, dall’11 marzo al 30 giugno 2020.

In quella fase della pandemia, tale sospensione era evidentemente giustificata dalle limitazioni agli spostamenti personali, che rendevano impossibile, per gli inquilini, reperire un altro alloggio e traslocarvi.

Poi, è intervenuto il vero principio fondante del nostro ordinamento, ossia la proroga delle misure transitorie, che ha differito la scadenza del blocco degli sfratti, di 3 mesi in 3 mesi, al 30 settembre 2020 e, ancora, al 31 dicembre 2020 (come chiosava Prezzolini, “in Italia non c’è nulla di più definitivo del provvisorio”).

Nel corso delle proroghe, la ratio del blocco ha mutato pelle, diventando una misura assistenzialista che, per la sua automaticità, si presta a facili abusi.

Con Decreto-legge 31 dicembre 2020 n. 183, il Governo ha ulteriormente prorogato il termine di blocco delle esecuzioni sino al 30 marzo 2021, poi prorogato sino al 30 giugno 2021, ma limitatamente agli sfratti per morosità.

Da questo momento, le limitazioni agli spostamenti personali non sono più la giustificazione della misura (altrimenti, perché sbloccare gli sfratti per finita locazione?), che diventa un ennesimo bonus “a pioggia”, molto particolare perché concesso automaticamente a tutti gli inquilini morosi, a prescindere dalla loro situazione reddituale, e a spese dei proprietari.

Auspicabilmente da ultimo (ma Prezzolini docet!), quando ormai il Paese ripensava solo alle riaperture e ai vaccini in vacanza, con l’art. 40-quater della Legge 21 maggio 2021 n. 69, il Legislatore ha ulteriormente prorogato questo surrettizio bonus: (a) sino al 30 settembre 2021 per i provvedimenti di rilascio adottati dal giudice tra il 28 febbraio 2020 e il 30 settembre 2020, con la ripresa delle esecuzioni a partire dal 1° ottobre 2021; e (ii) sino al 31 dicembre 2021 per i provvedimenti di rilascio adottati dal giudice tra il 1° ottobre 2020 e il 30 giugno 2021, con la ripresa delle esecuzioni a partire dal 1° gennaio 2022.

Tali date non devono ingannare perché, come noto, le procedure esecutive di sfratto sono in Italia assai farraginose: per ottenere i due accessi dell’ufficiale giudiziario e, ove necessario, l’assistenza della forza pubblica e, in alcuni casi, persino del medico fiscale e del veterinario, trascorrono mediamente altri 6 mesi.

Ciò vuol dire che i proprietari ri-entreranno in possesso della propria abitazione non prima di un anno e mezzo da quando i loro inquilini hanno smesso di pagare.

Nel frattempo, diversamente da altre categorie che hanno beneficiato di sussidi, variamente denominati ristori e sostegni, i proprietari di casa non hanno ottenuto nulla.

Anzi, rebus sic stantibus, a giugno dovranno versare l’Imu per le case locate. Nonostante siano obbligati dallo Stato a concedere un credito, essi dovranno anche sostenere le ordinarie spese per le procedure esecutive (contributo unificato, spese di registro, ecc.).

3. La giurisprudenza Cedu sul blocco degli sfratti

La Cedu si è già occupata di blocchi degli sfratti in Italia, condannandola anche a risarcimenti ingenti (ad esempio, €100 mila nella causa n. 59367/00, Pozzi v. Italia).

In quelle occasioni, la CEDU ritenne contraria ai diritti di proprietà la proroga degli sfratti per finita locazione, disposti dallo Stato italiano nel processo di liberalizzazione degli affitti, che prevedeva superamento del sistema dell’equo canone introdotto con Legge n. 392/1978.

Invero, negli anni ‘80’ e ‘90, con legislazione c.d. emergenziale, il Legislatore prorogò di fatto, per anni, la durata dei contratti a equo canone, impedendo l’esecuzione degli sfratti per finita locazione.

Ciò fu ritenuto dalla Cedu un’indebita compressione del diritto di proprietà ex art. 1, Protocollo 1, perché non era stato eseguito alcun bilanciamento degli interessi in violazione del principio generale di proporzionalità (oltre alle cause Immobiliare Saffi e Pozzi, cit., v. anche cause n. 22774/93, Immobiliare Saffi v. Italia; n. 21463/93, Lunari v. Italia; e n. 15919/89, Palumbo v. Italia). Inoltre, impediva sine die l’esecuzione di provvedimenti giurisdizionali, come le convalide di sfratto, in violazione dell’art. 6, Convenzione.

Come dimostrano due casi esaminati con il collega De Sanctis Mangelli, la situazione si ripete oggi in modo ancor più sproporzionato, finendo per tutelare situazioni in modo ingiustificato.

Nel primo caso, si tratta di un contratto di locazione transitoria (quindi, non di abitazione principale) avente durata sei mesi, stipulato per un’abitazione di lusso a luglio 2020, in piena epoca pandemica che non era quindi un’evenienza sopraggiunta. In quel caso, l’inquilino ha cessato di pagare le rate dopo soli due mesi; lo sfratto per morosità è stato convalidato a dicembre 2020, con ordine di rilascio a gennaio 2021. L’inquilino, che non paga nulla da agosto 2020, in virtù delle proroghe del blocco, resterà “ospite” sino, almeno, all’estate 2022. Si badi bene che, nel frattempo, la proprietaria dovrà pagare le rate del mutuo per l’acquisto della casa e gli oneri condominiali.

Nel secondo caso, si tratta di una morosità risalente a ben prima della pandemia (iniziata a maggio 2019, con convalida di sfratto a ottobre 2019), in cui il secondo accesso dell’ufficiale giudiziario fu, per ragioni organizzative del suo ufficio, spostato di una settimana al 13 marzo 2020, incappando per soli 2 giorni nel blocco degli sfratti. Anche in quel caso l’inquilino moroso non paga nulla ormai da anni e resterà ancora nell’appartamento almeno sino a fine anno.

Questi casi dimostrano che la Legge n. 69/2021 – pur essendo stata adottata quando si conviveva con il Covid da lungo tempo ed erano, anzi, in corso le riaperture delle attività – non prevede quegli elementi di flessibilità richiesti dalla giurisprudenza Cedu, che avrebbero potuto evitare di applicare il blocco a fattispecie prive di ragioni di tutela.

Anzitutto, il blocco non consente di graduare le contrapposte esigenze di locatore e conduttore nei singoli casi, partendo dal presupposto, del tutto indimostrato, che, in tutti i casi, solo il secondo andrebbe tutelato in ragione dell’epidemia.

Non c’è stata perciò alcuna valutazione di proporzionalità, né è stata prevista la possibilità per il proprietario di presentare il proprio caso specifico di fronte ad una autorità indipendente che potesse esaminarne le peculiarità della fattispecie al suo esame, per valutare l’applicabilità del blocco (v. causa Zehentner v. Austria, sentenza 16.7.2009, §73).

Ciò sarebbe stato particolarmente necessario in questo caso perché, per la prima volta della storia repubblicana, si bloccavano gli sfratti per morosità, quelli cioè dovuti a inadempimento del conduttore e, quindi, particolarmente lesivi dei diritti del locatore.

In secondo luogo, non si comprende perché, da marzo 2021, è possibile eseguire gli sfratti per finita locazione quando, in quel caso, a parità di asserite esigenze abitative, perlomeno il conduttore non era moroso.

La differenziazione tra le due fattispecie determina conseguenze assurde in punto di tutela dei diritti: ignari della possibilità che una successiva norma primaria avrebbe potuto introdurre dette discriminazioni, nei due citati casi i proprietari hanno scelto la strada dello sfratto per morosità anziché quella (illogica in quel momento), dello sfratto per finita locazione, che li avrebbe però favoriti nella riacquisizione effettiva dell’immobile.

Inoltre, bloccare gli sfratti per un periodo di tempo, più o meno prolungato, non risolve in modo strutturale gli eventuali problemi economici del conduttore; anzi gli consente di accumulare un debito maggiore nei confronti del locatore con la conseguenza che, quando si vedrà sfrattato, egli sarà in ancora maggiori difficoltà economiche.

Qualora esigenze economiche fossero state la ragione del blocco, lo Stato italiano avrebbe dovuto prevedere misure tese a subentrare nel debito del conduttore (ad esempio, concedendo crediti fiscali di pari importo rispetto alle somme scontate dal locatore, ovvero concedendo garanzia statale sui canoni inevasi). Tuttavia, non ha fatto nulla di ciò, con la conseguenza che il patrimonio del conduttore si troverà ancora più esposto alle pretese del locatore.

A ciò aggiungasi che i contestati interventi legislativi stanno impedendo l’esecuzione di decisioni giudiziali definitive, come le convalide di sfratto, adottate in una procedura che consente il contraddittorio delle parti, che hanno quindi avuto l’occasione di poter far valere le proprie esigenze personali di fronte a un giudice terzo e indipendente.

La Cedu ha già stabilito al riguardo che l’art. 6 della Convenzione tutela anche l’esecuzione delle convalide di sfratto, che non possono rimanere ineseguite a detrimento di una parte (Immobiliare Saffi, §66).

Rispetto al caso Immobiliare Saffi, la misura statale è più grave nel presente caso poiché, qui, non si tratta di prorogare di fatto rapporti di locazione scaduti, per cui il conduttore sta continuando a pagare un canone locatizio, comunque accettato dal locatore.

4. Conclusioni

Sorge l’impressione che lo Stato italiano stia perseguendo non meglio precisate o dichiarate finalità sociali/assistenziali in modo surrettizio, senza cercare soluzioni strutturali, ma in modo sproporzionato e irrazionale.

Infatti, bloccare gli sfratti per un periodo di tempo non elimina il debito, anzi mette il conduttore nella condizione di accumularne sempre di più nei confronti del locatore, con la conseguenza che, quando si vedrà sfrattato, egli sarà in ancora maggiori difficoltà economiche. Correlativamente, il locatore avrà maggiori difficoltà ad ottenere la soddisfazione del proprio credito.

Inoltre, l’incertezza giuridica rischia pro futuro di aumentare i canoni locatizi a detrimento delle categorie più deboli: la richiesta di fidejussioni a garanzia dei pagamenti è già una prassi, come anche quella di negare l’affitto a giovani e lavoratori precari, che non possono dimostrare un’occupazione e un reddito stabile. Numerose agenzie eseguono, per i propri clienti, una vera e propria due diligence sulla solidità dei potenziali inquilini.

Sembra, quindi, un caso paradigmatico in cui “la toppa è peggio del buco”, poiché si sacrificano i diritti fondamentali del proprietario, senza risolvere le esigenze sociali degli inquilini.

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