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L’Ue ha mantenuto la promessa, ora Roma mantenga la sua. L’analisi di Caroli

Di Matteo Caroli

Dovrebbe essere chiaro a tutti, compresi coloro che per tattica politica o prevenzione ideologica potrebbero essere tentati di remare contro, che non possiamo permetterci di non attuare al meglio il Piano di rilancio sugellato (e non imposto) dalla Commissione. E c’è solo un modo per farlo, attuare le riforme. L’analisi di Matteo Caroli, professore di economia e gestione delle imprese internazionali alla Luiss

L’incontro a Roma della presidente della Commissione europea con il nostro presidente del Consiglio è stato un oggettivo, importante segnale di stima verso il nostro Paese e la sua capacità di utilizzare al meglio le notevolissime risorse messe a sua disposizione dall’Europa. Ma è bene ricordare che in un’attestazione di fiducia è sempre implicita l’aspettativa che essa non vada delusa; in questo caso, tale attesa è anche esplicita visto che Bruxelles ha esplicitato i suoi auspici a partire dall’attenzione primariamente sui risultati e non semplicemente sui progetti di spesa.

Del resto, dovrebbe essere chiaro a tutti, compresi coloro che per tattica politica o prevenzione ideologica potrebbero essere tentati di remare contro, che non possiamo permetterci di non attuare al meglio il Piano di rilancio sugellato (e non imposto) dalla Commissione europea. Pensare che i debiti si possano non ripagare è a dir poco puerile e conduce diritti alle modalità socialmente più dolorose per farlo.

La questione cruciale è semplice. Per investire al meglio le risorse disponibili e attivare un robusto sviluppo sostenibile del Paese è essenziale attuare concretamente il dettagliato insieme di riforme previste nello stesso Pnrr. Altrettanto chiare sono le condizioni per implementare le riforme: smettere di proteggere posizioni di rendita; aumentare i livelli di trasparenza; dare spazio a chi è portatore/trice di competenze e impegno fattivo; cercare risultati economici sostenibili nel medio-lungo termine; mettere realmente l’interesse generale al primo posto.

Non si può più accettare la lentezza dei processi decisionali e delle procedure di attuazione delle decisioni. È essenziale attuare i progetti e le iniziative secondo un preciso e serrato iter temporale; e non bisognerà ritardare se alcune cose andranno fatte “a maggioranza” e non all’ “unanimità”. È il momento di un radicale cambio di mentalità e non è una sfida da poco perché va fatto in brevissimo tempo. Sono principi guida che devono riguardare tanto gli attori pubblici quanto quelli privati. Chiamano in causa innanzi tutto le grandi istituzioni e le imprese di maggiori dimensioni perché sono ovviamente i soggetti trainanti; ma altrettanta responsabilità hanno le organizzazioni piccole che incidono nei contesti locali.

È importante che i cantieri delle riforme partano tutti insieme, sia perché sono evidenti le interazioni ad esempio tra semplificazione amministrativa ed efficienza della Giustizia; tra tutela della concorrenza e attrazione degli investimenti produttivi; ma anche per fare in modo che tutte le categorie si sentano ugualmente chiamate a dare il loro contributo al cambiamento.

Infine, ma forse in primo luogo sarà essenziale avere ben chiaro quanto lo stesso presidente Mario Draghi ha sottolineato qualche giorno fa: il rilancio economico del Paese deve essere in primo luogo finalizzato al riequilibrio sociale. Non è solo una questione di ristori per le categorie più colpite dalla pandemia; è soprattutto la necessità di ridurre il divario tra i sempre meno che prendono sempre di più e tutti gli altri; di facilitare l’accesso a tutti alle opportunità di crescita personale, professionale e sociale; di recuperare chi per tante ragioni sta finendo ai margini della società.

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