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Pechino cerca a Dubai una sponda per conquistare il Golfo. Ma gli Usa…

Di Emanuele Rossi e Gabriele Carrer

La Cina cerca di approfittare del disimpegno statunitense in Medio Oriente per rafforzare i legami con gli Emirati Arabi Uniti. La posta in palio è militare, ma non solo…

Tra Emirati Arabi e Stati Uniti c’è la Cina? Il Wall Street Journal con un articolo di retroscena aggiunge un pezzo in più a un ragionamento che va avanti da diverso tempo: la “Piccola Sparta”, così stretta alleata americana da meritare — sotto l’amministrazione di Donald Trump — di essere inclusa nella Via della Seta statunitense, il club dei Paesi che operano con il supercaccia F-35, flirta con Pechino.

Al Wall Street Journal arrivavano le preoccupazioni dell’intelligence americana collegate a un episodio: un cargo cinese ha caricato componenti non specificate — su cui evidentemente qualcuno degli americani ha cercato informazioni ma gli sono state nascoste. Che cos’era? Il sospetto è chiaramente in una cooperazione tecnologica sul fronte degli armamenti, che per gli Usa sarebbe intollerabile.

Altrettanto lo sarebbe l’apertura di una base militare cinese nel territorio emiratino. Si sa che il Partito-Stato da anni ci sta provando: il centro del Golfo è un nodo geostrategico globale dove tutti vogliono esserci (e per la Cina è ancora il cuore die rifornimenti di petrolio). Se Abu Dhabi accettasse le richieste cinesi, per Washington sarebbe l’occasione per chiudere l’accordo preliminare per la fornitura degli F-35.

Il timore è che dagli emiratini filtrino informazioni su certe super tecnologie — che permettono la superiorità militare e geopolitica americana e di h a cerchia di alleati selezionati. Anche per questo l’amministrazione di Joe Biden ha messo in stand by la fornitura — che prevede oltre i caccia stealth (50) anche la fornitura di 18 droni Reaper con caratteristiche offensive. L’accordo di fondo prevede che gli Emirati Arabi Uniti non usino certi mezzi per azioni in Yemen (dove facevano parte della coalizione anti Houthi guidata dai sauditi) e in Libia (dove erano attivi sul fronte dei ribelli anti-Onu).

La Cina è l’elemento in più. La questione riguarda tanto la fornitura (e le tecnologia) quanto una serie ampia di apertura che Abu Dhabi ha concesso a Pechino. A cominciare dall’essersi fatta hub del vaccino anti-Covid Sinopharm, passando dare anche solo spazio alle richieste cinesi di una base fino — ultimo ma più importante — all’idea di includere la Collana di Perle alle linee marittime della Belt & Road Initiative. Se ne parla da un po’.

Su queste colonne, l’esperta dell’Ecfr Cinzia Bianco spiegava all’inizio dello scorso anno la ‘String of Ports’, la strategia con cui gli emiratini vogliono costruire una catena di porti, con la quale vogliono diventare una stampella della Cina nella Via della Seta (Bri): “Ossia vogliono essere un offshot della Bri che loro possono controllare e gestire, diventando così un partner nevralgico e indispensabile di un player che considerano in ascesa, diversamente da come vedono gli Stati Uniti. Questo pensano che gli garantirà influenza internazionale in futuro”.

A interessarsi agli sforzi cinese negli Emirati di recente è stata anche la testata giapponese Nikkei Asia, sottolineando la cooperazione sui vaccini ma anche sul 5G, con Huawei in corsa per la realizzazione della rete di quinta generazione nel Paese sul Golfo. Nei giorni scorsi  il responsabile per la sicurezza di Huawei negli Emirati, Aloysius Cheang, in un’intervista al quotidiano emiratino The National ha spiegato che la compagnia è al lavoro, insieme a diversi enti governativi, per fare degli Emirati Arabi Uniti un’“oasi digitale” riconosciuta globalmente, al riparo da potenziali minacce cibernetiche.

C’è poi il soft power, con il sostegno emirati alle Olimpiadi cinesi del 2022.  “Gli osservatori prevedono che è probabile che le richieste popolari di democrazia crescano nel processo di trasformazione della distribuzione del reddito dal petrolio” nei Paesi del Golfo, scrive il giornale di Tokyo. E così “alcuni leader arabi potrebbero considerare la Cina, che ha raggiunto un forte sviluppo economico senza una democrazia di tipo occidentale, come un modello per le proprie strategie economiche”.

I legami Cina-Emirati non possono che preoccupare Washington, a partire dal Congresso, dove ad accendere un faro è stato, tra gli altri, Bob Menendez, figura di spicco del Partito democratico e presidente della commissione Affari esteri del Senato. Perché il vuoto che Pechino vorrebbe riempiere, dunque, non è soltanto militare.


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