Prendete i pop-corn: tra Recovery plan e semestre bianco in arrivo, lo scontro fra Grillo e Conte per il Movimento può trasformarsi nella tempesta perfetta. Il Pd di Letta può cavalcarla, a patto che…Il corsivo di Francesco Nicodemo
Per chi ama la politica, questo è un momento molto divertente.
Il governo di Mario Draghi, nato dall’unità di forze contrapposte e chiamato dal Presidente Sergio Mattarella a risolvere la conflittualità delle parti nella gestione dei vaccini e nella messa a terra del Recovery Plan, è stato da subito un elemento di smottamento tra i partiti nazionali.
Allo stesso tempo nel momento in cui le leve del potere sono passate nelle mani di Draghi e dei suoi ministri tecnici più fidati, lo spazio di azione politica dei partiti si è ridotto fondamentalmente al perimetro delle loro identità, dei loro slogan e dei loro progetti bandiera, più comunicativi che fattuali.
Intanto, l’avvicinarsi del semestre bianco diventa un ulteriore elemento di agitazione nei partiti e nei gruppi parlamentari: d’altronde questo sarà l’ultimo Parlamento a eleggere un PdR attraverso il voto segreto di mille deputati e senatori.
In questo clima frizzantino, l’ultimo conflitto interno al M5S è una tempesta perfetta nell’estate italiana. Beppe Grillo ha ribadito che il M5S è una sua emanazione politica e che quindi la sua figura è molto più di un semplice garante.
Lo stesso Giuseppe Conte si deve adeguare, perché nel M5S uno vale uno, ma Grillo vale tutti. Ora non sappiamo cosa succederà, se davvero Conte sbatterà la porta e andrà via. Sembra quasi di sentire Grillo dire, “Conte fondi un partito e vediamo quanti voti prende”, come disse Piero Fassino 12 anni. Un incredibile contrappasso, a pensarci bene.
I fatti consiglierebbero a Grillo maggiore prudenza e non solo per la profezia che si autoavvera. Conte è, secondo alcuni sondaggi, il leader politico, che riscuote maggiore fiducia. Nel fronte progressista addirittura è quello maggiormente apprezzato, anche di più dei leader dei singoli partiti. Conte ha plasticamente rappresentato l’istituzionalizzazione e la maturazione del M5S. Può dare una prospettiva centrale se non centrista ai grillini.
Nella gestione dell’anno più complicato degli ultimi venticinque della Repubblica, ha mostrato un’enorme capacità di empatia e di connessione sentimentale con il Paese. Inoltre Conte è il link più forte per costruire con il Pd un asse politico che vada oltre questa fase. A Napoli, un esempio che vale per tutti, il nome di Gaetano Manfredi è stato sponsorizzato soprattutto dall’ex premier come punto di equilibrio da M5S e Pd.
Il M5S allo stesso tempo è in crisi di consenso da tre anni, ha perso tra i 14 e i 18 punti percentuali, è stato al governo con tutti eccetto che con FdI. Fatti salvi reddito di cittadinanza e taglio del numero dei parlamentari, il bottino di politiche portato a casa è mediocre. La crisi di consenso è anche soprattutto una crisi di identità.
In queste condizioni, Conte poteva dare nuova linfa e nuova prospettiva. Ma se Conte dovesse andare via, sua sponte o accompagnato alla porta, il M5S assomiglierebbe sempre di più a una bad company, dove nemmeno un sapiente rebranding sarebbe sufficiente a salvare l’impresa.
Razionalmente, M5S e Conte sono in grado di trovare un’intesa. Ma quando parliamo di questa esperienza politica, i fattori personali ed emotivi sono sempre quelli prevalenti. In questo scenario il Pd è alla finestra e guarda con preoccupazione alle sorti dell’alleato – absit iniuria verbis – ma per il partito di Enrico Letta questa crisi è allo stesso tempo una buona e una cattiva. Cattiva, perché il Pd rischia di andare – praticamente, di nuovo – da solo alle prossime politiche.
Buona, perché questa crisi è una buona occasione per tornare alla vecchia e cara vocazione maggioritaria del Pd, provando a convincere gli elettori del M5S, più che a fare alleanze con i suoi eletti. In ogni caso lo vedremo a breve, in quella che si annuncia una caldissima estate politica.