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Cyber attacchi russi, armi americane e vaccini. Terremoto nella politica polacca

La nuova fuga di notizie colpisce la squadra di governo animata da Jarosław Kaczyński. La Polonia è ancora al centro dello scontro tra Est e Ovest, e tra i sistemi di difesa americani e i rapporti con la Bielorussia, l’hackeraggio delle e-mail degli alti funzionari scoperchia rivalità e schieramenti

Parliamo di cyber attacco. Un’offensiva mirata a sottrarre sistemi informativi, uno scontro a colpi di dati e conversazioni rubate, una propaggine o un retaggio della guerra fredda esercitata in chiave moderna.

La notizia, ormai, occupa le pagine delle testate continentali. Viene snocciolato l’accaduto: il danno subito da importanti funzionari dello Stato polacco, in particolar modo da Michał Dworczyk, il capo dell’ufficio del premier Morawiecki, le modalità con cui viene divulgato il contenuto delle e-mail (via Telegram), le tracce di modifica rilevate nei metadati dei documenti trapelati che spingono Jarosław Kaczyński a puntare l’indice contro Mosca. Ma come e perché accade tutto questo? Qual è il vero contenuto delle 82 e-mail (per ora) hackerate?

Riavvolgiamo il nastro, scaviamo più a fondo.

In primis, i dati sottratti non riguardano solo l’introduzione delle restrizioni Covid-19 in Polonia, alcuni schemi di un Combat Infantry Vehicle (mezzo di trasporto arcaico, ma ancora fondamentale per l’esercito polacco), le tabelle sulle vaccinazioni degli ufficiali dei servizi speciali, ma vertono su aspetti legati alla sicurezza dello Stato.

Dalle pagine di Gazeta Wyborcza leggiamo di una corrispondenza in cui il colonnello Krzysztof Gaj, consigliere di Dworczyk, attacca gli ufficiali coinvolti nella realizzazione del sistema di difesa americano “Patriot”. Gaj ha inviato, tramite un indirizzo di posta elettronica privato, vari schemi di funzionamento dei lanciatori di missili a corto raggio. Per di più, è possibile apprendere il numero dei soldati necessari all’uso del lanciamissili e i suoi svariati elementi di accompagnamento, oltre ai dettagli inerenti alla posizione dei razzi sul campo.

Gaj scrive dell’impossibilità di cooperazione tra l’IBCS (Integrated Air and Missile Defense Battle Command System) e l’equipaggiamento usato dall’esercito polacco e del fatto che gli americani si dimostrano riluttanti nell’inserire “qualsiasi nostro veicolo di comando, radar, ecc…”. Un dialogo che evidenzia la presenza di un gruppo, all’interno del governo di Varsavia, non proprio entusiasta della collaborazione militare con gli Stati Uniti.

Il “saccheggio informatico” comprende anche un’email sprezzante inviata a Dworczyk, da uno dei suoi consiglieri, rivolta alla deputata di Platforma Obywatelska, Joanna Kluzik-Rostkowska, la quale rivendicava “inequivocabili” azioni di sostegno all’opposizione in Bielorussia.

Il consigliere in questione è Marek Bućko, ex vice ambasciatore presso l’ambasciata polacca a Minsk, ex consulente del defunto Lech Kaczyński, nonché editore di un portale anti-ucraino e anti-europeista. Vi è anche una mail indirizzata al premier Morawiecki, dove Dworczyk. scrive che Bućko “ha servito la sua patria in una seconda veste”. In poche parole, rivela che da diplomatico Bućko ha lavorato per i servizi segreti.

Senza contare il messaggio apparso su Telegram, catalogato come “confidenziale”, dove un funzionario della Kancelaria Prezesa Rady Ministrów invia a Dworczyk delle tabelle con i prezzi dei vaccini acquistati dal governo. Da quel giorno, la narrazione “tutta colpa dei russi”, promulgata dalle reti filo-governative e dall’esecutivo, si è dissolta.

Una cosa è certa: Dworczyk ha tessuto una corrispondenza “istituzionale” dalla sua email privata, se avesse usato una casella di posta nel dominio “gov.pl”, gestito dai servizi informatici del governo, nessuno vi avrebbe fatto irruzione. Per alcuni giorni, Dworczyk si è chiuso in un silenzio assordante, mentre i leader dei partiti alleati, come Konfederacja, mettono in discussione la veridicità delle informazioni, succulento bottino di un’eclatante fuga di notizie.

Trattasi di uno scandalo che, come ricorda il colonnello Grzegorz Małecki (ex capo dell’Agenzia di intelligence) a Rzeczpospolita, può essere paragonabile a quello del 14 giugno 2014. Infatti, sette anni fa, nella piacevole sala del ristorante “Sowa & Przyjaciele” e nell’Amber Room di palazzo Sobański, furono captate delle discussioni “scottanti” tra l’allora Ministro degli Interni Bartłomiej Sienkiewicz , il presidente della Banca Centrale Polacca ( Narodowy Bank Polski) Marek Belka, l’ex ministro dei trasporti Sławomir Nowak e l’ex vice ministro delle finanze Andrzej Parafianowicz. Le registrazioni vennero pubblicate illegalmente dal settimanale Wprost, generando un terremoto politico nel Sejm guidato da Donald Tusk.

Oggi, la nuova fuga di notizie fa traballare la squadra di governo animata da Jarosław Kaczyński, che nel 2014 utilizzò lo scandalo “Sowa & Przyjaciele” per minacciare una sfiducia imminente verso i liberali di Tusk. Soprattutto mette a disagio il Ministro degli Interni Mariusz Kaminski, condannato nel 1981 a un anno in riformatorio per aver profanato il Monumento dell’Armata Rossa.

“Nell’ufficio di Mateusz Morawiecki” aggiunge Małecki “è stato introdotto il ‘metodo aziendale’. Le raccomandazioni di condurre le conversazioni ‘face to face’ in stanze appositamente protette o di usare canali sicuri e criptati sono state ripetutamente ignorate. Lo Stato non può e non deve funzionare come un’azienda privata, deve operare da Stato”.

Ma è giusto e lecito chiedersi: perché la protezione dei servizi di controspionaggio, che avrebbe potuto neutralizzare l’hackeraggio dei dati, ha fallito? Ad intercettare la pubblicazione, su un portale, di informazioni riservate del governo polacco, connesse all’account violato di Dworczy, è stato l’infallibile Mossad israeliano.

In tandem, l’opinione pubblica e il Sejm chiedono di “far luce” su quanto accaduto, ma è pur vero che vi sono zone d’ombra destinate a restare tali per molto tempo, anche sotto l’egemonia della “tecnica scatenata”, dove chiunque ha la possibilità di sapere, di estrapolare e di giungere alla verità dei fatti. Se verità si può estrarre dagli abissi del deep state. In certi casi, come rispose Giulio Andreotti alle esortazioni di Giovanni Pellegrino nel gettare un cono di luce sul periodo dello stragismo in Italia… “Troppa luce…acceca”.

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