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Cyber, la Cina è indietro di un decennio rispetto agli Usa. Colpa del partito

Il nuovo rapporto dell’International Institute for Strategic Studies evidenzia i limiti ideologici che tarpano le ali tech di Pechino

Negli ultimi mesi una serie di attacchi hacker ai danni degli Stati Uniti (e non solo) hanno riportato la questione cibersicurezza al centro del dibattito pubblico. Specie dato che, al netto delle aggressioni ransomware a scopo di lucro, le due operazioni (di spionaggio) più gravi sono state condotte da Cina e Russia, classificate dagli Usa come minacce in quello che la Nato definisce il quinto terreno di lotta, ossia il ciberspazio.

Eppure, stando agli esperti dell’International Institute for Strategic Studies (Iiss), Mosca e Pechino non sono in grado di competere sistematicamente con Washington. Il rapporto pubblicato stamattina, basandosi su sette fattori – tra cui strategia e dottrina, capacità offensive e difensive, leadership globale – identifica gli Usa come la sola potenza cyber di primo livello, definendoli “l’unico Paese con una forte impronta globale negli usi sia civili che militari del ciberspazio”.

Al secondo livello troviamo Australia, Canada e Regno Unito – alleati degli Usa, assieme alla Nuova Zelanda, nella coalizione di intelligence nota come Five Eyes – più Francia e Israele, esempi di Stati non Five Eyes ma dotati di capacità cyber avanzate. Sullo stesso piano si collocano anche Russia e Cina, due Paesi che hanno dato prova delle rispettive capacità offensive ma che ancora arrancano, rispetto agli Usa, sul piano della cibersicurezza e della resilienza (basata anche sulla possibilità di affidarsi ai campioni e ai prodotti nazionali).

Il rapporto concede che la Cina è il Paese meglio posizionato per raggiungere il primo livello, ma stima che ciò non accadrà per almeno dieci anni. Greg Austin, che si occupa di cyber, spazio e futuro per conto dell’Iiss, ha detto al Financial Times che le capacità cinesi sono state “esagerate” anche per via della risonanza mediatica data dalla stampa internazionale alle aspirazioni cinesi di diventare leader mondiale del settore.

Le criticità cinesi secondo il rapporto Iiss sono di natura ideologica oltre che pratica. Il Dragone ha costruito l’apparato censorio e di sorveglianza digitale più sofisticato al mondo, in grado di passare al setaccio praticamente tutti i contenuti diffusi sul web cinese ma non di controllare le infrastrutture fisiche che li veicolano. E ancora, l’analisi di intelligence cyber è “meno matura” rispetto ai Paesi Five Eyes perché è guidata dall’ideologia e “sempre più invischiata […] negli obiettivi politici” dei dirigenti del Partito comunista cinese.

Parte dello svantaggio tecnologico cinese è riconducibile alla stretta opprimente del Partito-stato e il conseguente impatto sull’innovazione. Esattamente come accade a livello di fintech, dove creatori di valore del calibro di Jack Ma vengono sopraffatti dalle autorità nell’istante in cui la direzione che imprimono alle proprie aziende non incontra il favore di Pechino.

Di contro, l’innovazione che scaturisce dalla liberissima economia statunitense ha contribuito a creare la base digitale-industriale senza rivali su cui è costruita la cyber-dominanza americana. Il rapporto Iiss evidenzia la capacità americana di eseguire ciberattacchi “sofisticati e chirurgici”, più efficaci e potenzialmente distruttivi delle operazioni più grossolane condotte da Cina e Russia. A frenare la potenza digitale di queste ultime c’è anche l’aspetto non secondario delle alleanze, su cui gli altri Paesi possono contare in caso di conflitto aperto.

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