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Dal G20 l’Italia lanci un Club del Clima. La proposta di Clini

Il G20 presieduto dall’Italia può essere l’occasione per costruire una piattaforma di lavoro, per individuare regole comuni e trasferire su una base di cooperazione e leale competizione le esperienze e i programmi in atto: un nuovo Club per il Clima. L’analisi di Corrado Clini, già ministro dell’Ambiente

Il cambiamento climatico irrompe nell’agenda del meeting dei ministri degli Esteri e della Cooperazione allo Sviluppo del G20 con i rapporti pubblicati nelle ultime settimane dalle Agenzie Governative degli Usa, dall’Agenzia Spaziale Europea, dalle Nazioni Unite. Il recente giusto richiamo dei leaders del G7 alla priorità del clima non basta. Sono necessarie azioni coordinate su scala globale.

Il 15 giugno scorso sono stati pubblicati su Geophysical Research Letters  i risultati di una ricerca condotta dalle due Agenzie governative Usa, la Nasa e la Noaa, sul bilancio energetico della Terra, ovvero sul rapporto tra l’energia radiante del sole  assorbita dall’atmosfera e dalla superficie terrestre e l’energia termica infrarossa  “in uscita” verso lo spazio.

La ricerca ha dimostrato che tra il 2005 e il 2019 è raddoppiato lo squilibrio energetico “positivo” della Terra, ovvero è raddoppiata l’energia trattenuta dal sistema Terra con l’aumento della temperatura media  del pianeta e  degli oceani in particolare, che hanno assorbito il 90% circa dell’eccesso di energia.

Nasa e Noaa mettono in evidenza che siamo di fronte ad uno  squilibrio energetico “senza precedenti”, al quale hanno contribuito la “forzatura antropogenica” delle emissioni in atmosfera ( in particolare CO2 e metano), l’aumento del vapore acqueo a sua volta indotto dalla temperatura degli oceani, la riduzione della capacità di riflessione (Albedo)  della radiazione solare per lo scioglimento dei ghiacci…

L’effetto più critico è certamente l’aumento della temperatura degli oceani, sia perché  sono ancora difficilmente prevedibili le conseguenze  a medio termine sul clima e sulle catene alimentari, sia perché  l’aumento della temperatura riduce la capacità degli oceani di assorbire una parte delle emissioni di CO2 (gli oceani assorbono circa un terzo delle emissioni).

Senza considerare gli effetti sull’Antartide, sull’Artico e in Groenlandia, con l’aumento del livello dei mari, la crescita dell’apporto di acqua dolce che sta determinando il “rallentamanto” della Corrente del Golfo con possibili modificazioni climatiche sulle coste europee dell’Atlantico e nel Mediterraneo, lo scioglimento del permafrost in Siberia.

Quasi in contemporanea al rapporto di Nasa e Noaa sono stati resi pubblici, dalla Agenzia Spaziale Europea e dalla Nasa i risultati delle osservazioni sullo scioglimento dei ghiacciai  nelle montagne dell’Alaska, delle Alpi e dell’Asia.

Senza entrare in dettagli, è stato rilevato che tra il 2011 e il 2019 è scomparso almeno il 4% dei ghiacciai con un ritmo annuale che negli anni 90’ era decennale.  Gli effetti sono molteplici, soprattutto per quanto riguarda la disponibilità di acqua che potrebbe rappresentare un fattore di grande instabilità considerato per esempio che dal Plateu del Tibet dipende gran parte dell’approvvigionamento di acqua per Cina, Sud Est asiatico, India, Pakistan.

Anche in questo caso sono considerate evidenti le relazioni con l’aumento delle emissioni e della concentrazione in atmosfera della CO2 (la rilevazione di Noaa nel mese di giugno segnala una concentrazione di oltre 419 parti per milione, oltre il limite di sicurezza di 400 e in aumento nonostante il Covid).

E secondo l’Agenzia Spaziale Europea la possibilità di un ripristino parziale delle superfici ghiacciate dipende dalla riduzione dell’aumento della temperatura entro 1,5-2°.  Ma per raggiungere questo risultato,  il rapporto delle Nazioni Unite sull’attuazione dell’Accordo di Parigi del 2015 (NDC Synthesis Report , 2021)  entro il 2030 le emissioni globali dovrebbe essere ridotte del 45% rispetto ai livelli del 2010 mentre oggi siamo appena allo 0,7%. E, da ultimo, il rapporto appena pubblicato dalle Nazioni Unite “Global Assessment Report on Disaster Risk Reduction: Special Report on Drought 2021” segnala che la “siccità potrebbe essere la nuova pandemia globale”.

Siamo dunque di fronte a due crisi che mettono a rischio la sicurezza globale e che richiedono risposte  urgenti coordinate e globali. Gli obiettivi e gli impegni per la decarbonizzazione assunti dai paesi del G7 e dalla Cina (55% circa delle emissioni globali)  rappresentano il punto di partenza, ma richiedono azioni sistemiche comuni.

Il premio Nobel William Nordhaus nel libro appena pubblicato, “The Spirit of Green”, ha indicato di nuovo l’urgenza di  un “prezzo del carbonio” condiviso, già proposto nel 2015,  per avere a disposizione un volano concreto della transizione energetica globale.

Questa decisione è alla portata delle grandi economie  rappresentate nel G20 che dovrebbero costituire, come suggerisce Nordhaus, un “Club del Clima” per concordare misure convergenti : per la diffusione delle energie rinnovabili; per lo sviluppo in “cooperazione competitiva” delle soluzioni tecnologiche più avanzate dall’idrogeno al nuovo nucleare, fino alla fusione nucleare; per il supporto alla decarbonizzazione delle economie più deboli e in via di sviluppo che tra l’altro già pagano e pagheranno un prezzo altissimo per la siccità e gli eventi climatici estremi con le conseguenti instabilità e migrazioni.

La realizzazione parallela delle stesse iniziative, nella prospettiva del “decoupling” delle economie, oltre a richiedere incalcolabili investimenti aggiuntivi non raggiungerebbe  i risultati nei tempi necessari richiesti dalle crisi in atto.  Europa, Usa, Cina, Giappone, Russia, India, Arabia Saudita, Australia, Corea del Sud (oltre l’80% delle emissioni globali)  hanno questa responsabilità, nonostante le molte diversità e i conflitti aperti su molti piani.

Il G20 può essere l’occasione per costruire una piattaforma di lavoro, per individuare regole comuni e trasferire su una base di cooperazione e leale competizione le esperienze e i programmi in atto.

E in questo contesto possono trovare una applicazione concreta le indicazioni del Presidente Joe Biden e del suo rappresentante speciale John Kerry in merito alla necessaria cooperazione con la Cina sui cambiamenti climatici.

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