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Dalla Spagna una lezione (di libertà) per Salvini e Meloni

Di Alberto Michelini

Mentre il centrodestra si arrovella sul progetto di una federazione, Salvini e Meloni dovrebbero volgere lo sguardo alla Spagna. Il trionfo di Ayuso a Madrid è il coronamento di una campagna improntata al realismo, al pragmatismo e al bene comune. Non sarebbe male replicarla. Il commento di Alberto Michelini, già parlamentare della DC e giornalista Rai

In vista delle elezioni comunali di ottobre e delle politiche del 2023, vale la pena guardare oltre i nostri confini, in particolare a una recente esperienza politica spagnola: le elezioni del 4 maggio scorso per il rinnovo della Comunità Autonoma di Madrid, cioè la regione della capitale. In Spagna ci sono 17 grandi territori che corrispondono alle nostre 20 regioni.

Lo scorso maggio, la Presidenta, Isabel Diaz Ayuso, del Partito Popolare, ha vinto clamorosamente sfiorando la maggioranza assoluta. È successo che questa giovane donna, 42 anni, chiamata ironicamente dalla sinistra “Ida”, che in spagnolo vuol dire pazza, ha ottenuto più seggi dei tre partiti di sinistra messi insieme e facendo la sua campagna all’insegna di una parola, libertà.

Può sembrare banale, perché di questa parola si riempiono la bocca i leader di tutti i partiti europei, ma il fatto è che Ayuso l’ha resa concreta, ha cioè applicato – in un momento molto difficile a causa della pandemia – quelle misure che hanno resa effettiva la libertà dei cittadini della regione evitando il lockdown generalizzato, errore politico con conseguenze disastrose, e portando il Pil della Comunità Autonoma al 4,4%, come la Cina, mentre la Spagna rimaneva schiacciata sullo 0,75%.

In sostanza, ha dimostrato che la chiusura non impedisce la diffusione del Covid, e che va chiuso solo là dove c’è il contagio attraverso l’esame delle acque reflue. Non si fuma all’aperto, si porta la mascherina, ristoranti, teatri, cinema e Plaza de Toros aperti – il 2 maggio c’è stata la prima corrida – mentre sono state vietate cene numerose e feste a casa dove ci si contagia di più rispetto al 2% del ristorante.

Ma la cosa più sorprendente è che molte persone dalla Spagna, ma non solo, si sono trasferite a Madrid in regime di smart working, rispettando le precauzioni, rigorosamente scientifiche, indicate dalla Comunità Autonoma.

L’aspetto politico più interessante è che Ida “la pazza”, parlando di diritto alla libertà e di diritto al lavoro, è stata votata anche nella “cintura rossa” di Madrid, segno che, quando un amministratore prende misure di buon senso, annulla le barriere ideologiche e recupera anche i voti di chi non si reca da anni alle urne.

Vogliamo vivere, non sopravvivere, era uno degli slogan di Isabel, che ha anche detto che non si può sfruttare la paura della gente per imporre un pensiero unico. E ancora: se nessuno lavora che paga le tasse?

In definitiva la Presidenta ha stravolto il panorama politico spagnolo con la diaspora di Pablo Iglesias, vicepresidente del Governo e fondatore di Podemos, ridotto al 7%, con la sparizione di Ciudadanos, di Pablo Casado Blanco, dall’Assemblea regionale e con la affermazione di Santiago Abascal, capo di Vox, che ha recuperato molti dei voti dei cattolici delusi dal Partito Popolare.

Il PP, dicono a Madrid i bene informati, non recupererà mai più quell’elettorato che oggi ha votato la Ayuso e che ieri Mariano Rajoy sconcertò con l’astrusa espressione, “Cuanto peor, mejor para todos y cuanto peor para todos mejor, mejor para mi y el suyo beneficio político”.

In definitiva, Ayuso ha posto una pesante ipoteca sulle future elezioni politiche in Spagna, come anche Abascal che con i voti di molti cattolici per Vox si pone più decisamente verso il centro liberandosi, almeno in parte, da quell’appellativo di “estrema destra” che in realtà non gli appartiene, nonostante le categorie che El Pais dispensa dall’alto della sua cattedra.

Che si tratti di categorie superate lo dimostrano gli stessi fatti appena avvenuti in Spagna e, se vogliamo, quanto accadde con 5 Stelle nel 2018 in Italia. L’elettorato, di destra o di sinistra che sia, esasperato dalla situazione economica e sociale, vota per il cambiamento, rimanendone magari deluso, o per chi, già al potere, dimostra concretamente di risolvere i problemi che affliggono i cittadini.

Un ricordo personale. Già 35 anni fa (!) avevo avuto modo di costatare, da candidato per la Dc alle Comunali a Roma, come i comunisti di Tor Bella Monaca mi avessero votato per aver fatto, nel quartiere, una campagna contro le case di 48 metri quadri, che non favorivano lo sviluppo della famiglia. La mia campagna, come quella dell’anno precedente per il Parlamento Europeo, era incentrata sulla famiglia in quanto tale, di qualsiasi idea, non sulla famiglia “cattolica”.

Il Pci, in uno dei suoi rappresentanti più autorevoli, Giovanni Berlinguer, si allarmò dopo che egli, in una Direzione a commento delle elezioni perse clamorosamente – io da numero due avevo superato abbondantemente il capolista – ebbe a dire: “Mentre noi parliamo di corna, la Dc miete voti parlando di famiglia”.

Berlinguer, senza poter neanche immaginare il futuro, si riferiva agli inutili dibattiti sulle crisi di coppia e a una sorta di deriva sociologica del partito che avrebbe portato, tre lustri più tardi, al disegno di legge Zan contro l’omotransfobia. Temi ostici alla vecchia, solida classe dirigente comunista.

A parte la storia, che comunque dovrebbe insegnare qualcosa, la situazione politica italiana lascia intravedere una chiara affermazione del centrodestra, unito o federato che sia, alle elezioni amministrative di ottobre e alle legislative del 2023.

Sarebbe importante per i loro leader, specie Matteo Salvini e Giorgia Meloni, fare tesoro delle esperienze dei colleghi spagnoli, ispirate a un sano realismo per una effettiva soluzione dei problemi delle famiglie italiane, e – rinunciando a una sterile, anche se comprensibile battaglia per la leadership del centrodestra – puntare all’obiettivo del bene comune, che è il bene di tutti e di ciascuno.

La vera leadership, in questo momento cruciale della nostra storia, è quella di Mario Draghi, per la sua competenza, la sua autorevolezza, per il suo interloquire, alla pari, con i leader del mondo.

Basta guardare le immagini del Vertice G7 a Presidenza britannica in Cornovaglia per capire chi è Draghi: cordiale, a suo agio, sorridente, capace, attento, misurato, stimato, influente, uno che non ha bisogno – come Macron, imbarazzante per la sua deferenza verso Biden – di toccare continuamente il Presidente americano quasi a volerlo convincere della sua devozione. Abbiamo avuto la sorte di essere guidati da una persona come Draghi. Cerchiamo di meritarcelo.

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