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Il dl Semplificazioni riduce davvero la burocrazia? L’opinione dell’avv. Bello

Di Francesco Paolo Bello

Alcune modifiche vanno senza dubbio nella direzione del miglioramento dei rapporti tra cittadino e Pa, in termini di certezza nella conclusione del procedimento (silenzio assenso e potere sostitutivo), su altre permangono tuttavia profili di dubbio. L’analisi dell’avvocato Francesco Paolo Bello, partner Deloitte Legal, responsabile dipartimento Diritto amministrativo

Il decreto Semplificazioni (D.L. 31 maggio 2021, n. 77) è stato finalmente approvato e pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Il testo – che contiene le misure per accelerare la realizzazione dei progetti e la governance del Pnrr – ha vissuto un iter travagliato, soprattutto a causa della previsione di alcune ipotesi di riforma del Codice Appalti particolarmente divisive, poi espunte – o quantomeno “spuntate” – dal progetto legislativo.

Ci si riferisce, in particolare, allo stralcio della disposizione che prevedeva l’eliminazione del tetto del 40% per il subappalto, nonché della proposta del “massimo ribasso” quale criterio prevalente di aggiudicazione delle gare.

Proprio la norma sul subappalto è stata quella maggiormente interessata dallo scontro politico (e non): la soglia sale dal 40% al 50% fino al 31 ottobre 2021, con l’introduzione, richiesta dai sindacati, di maggiori tutele per i lavoratori. Successivamente al 31 ottobre, poi, “viene rimosso ogni limite quantitativo al subappalto”, sebbene la Stazione appaltante, d’intesa con le Prefetture, avrà l’obbligo di indicare nei documenti di gara quali prestazioni dovranno essere eseguite esclusivamente dall’aggiudicatario “in ragione della loro specificità”.

È noto come tale norma sia stata oggetto di plurime “attenzioni” in Europa, tanto da parte della Commissione (che ha aperto nei confronti dell’Italia una procedura d’infrazione) quanto della Corte di Giustizia, che ha più volte ribadito l’anomalia – tutta italiana – della limitazione del ricorso al subappalto. L’intervento normativo, dunque, appare una fine attività diplomatica da parte del governo, che verosimilmente riceverà il placet in sede comunitaria.

In un’ottica di semplificazione della burocrazia e riduzione dei tempi amministrativi (lo chiede l’Europa per sbloccare i fondi del Recovery), il decreto ha previsto, in caso di inerzia del funzionario, un potere sostitutivo in capo ad una “figura apicale” o ad una “unità organizzativa”: decorso inutilmente il termine per la conclusione del procedimento, il responsabile o l’unità organizzativa, d’ufficio o su richiesta dell’interessato, “esercita il potere sostitutivo e, entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto, conclude il procedimento attraverso le strutture competenti o con la nomina di un commissario”.

Lungo la stessa direttrice – almeno nelle intenzioni – anche la modifica della disciplina del silenzio-assenso: nei casi in cui il silenzio della P.A. equivale ad accoglimento della domanda – si legge -, “fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l’amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un’attestazione circa il decorso dei termini del procedimento. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, l’attestazione è sostituita da una dichiarazione del privato”.

Stretta, infine, sulla proroga degli affidamenti senza gara (ossia gli affidamenti diretti di lavori inferiori a 150 mila euro e di servizi e forniture di importo inferiore a 139 mila euro) che, originariamente prevista sino al 31 dicembre 2026, viene ora limitata al 30 giugno 2023. Dopo tale scadenza verrà ripristinata la precedente soglia di 40mila euro, salvo ulteriori interventi.

Alcune modifiche vanno senza dubbio nella direzione del miglioramento dei rapporti tra cittadino e P.A., in termini di certezza nella conclusione del procedimento (silenzio assenso e potere sostitutivo), su altre permangono tuttavia profili di dubbio.

Proprio con riferimento alle modifiche sul silenzio-assenso, ci si chiede se, pur con il meritorio intento di semplificare la procedura, non si sia provocato l’effetto di allungare le fasi del procedimento, con il rischio che la P.A., rimasta silente la prima volta, probabilmente lo sarà anche la seconda; di qui la previsione della dichiarazione da parte del cittadino. La soluzione, però, esisteva già: anche pre-decreto, invero, il cittadino aveva la possibilità di produrre dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà che comprovasse la formazione del silenzio-assenso, spettando alla P.A. il compito di verificare la veridicità di quanto dichiarato. Sarebbe stato, forse, più utile prevedere una “sanzione” nel caso – affatto infrequente – in cui tale dichiarazione non venisse accettata dagli Enti.

Interessante la previsione nel decreto di una governance a più livelli, dai “soggetti attuatori”, al CITE (Comitato per la transizione ecologica), passando per la cabina di regia a Palazzo Chigi (con la partecipazione delle Regioni) e la valorizzazione dello strumento del dibattito pubblico.

Con funzioni consultive, viene inoltre istituito un tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, cui siederanno i rappresentanti degli enti locali, delle categorie produttive, dell’università e della società civile. Dimezzati, infine, i tempi per la VIA (valutazione impatto ambientale) con la previsione di un’apposita commissione tecnica e del potere sostitutivo in caso di inerzia della P.A.

Semplificare, come insegna Calvino in “Lezioni Americane”, significa “togliere l’inutile, il ridondante”, non certo aggiungere. Poche norme ma chiare e precise. La strada intrapresa va nella direzione giusta, ricordando, però, che la piena attuazione del Pnrr richiede una visione strategica di medio e lungo termine: “strategy, not technology, drives digital transformation”.

 

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