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Export, difesa ed Emirati Arabi. La lettera del gen. Tricarico

Dopo lo stop all’export e lo scalo forzato per l’aereo di giornalisti al seguito del ministro Guerini, pare evidente che il rapporto con gli Emirati vive momenti particolarmente difficili. L’opinione del generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare

A volte si ha la sensazione che il presidente del Consiglio Mario Draghi, per il quale nutro come gran parte degli italiani la massima stima, ripeta anche se in scala molto limitata e forse poco consapevole, gli errori che l’altro “salvatore” Mario Monti si portò appresso nella loro interezza per tutto il mandato. Quest’ultimo infatti parve interpretare l’incarico di capo del governo quasi che a lui fosse richiesto solamente di salvare l’Italia dal baratro del default economico, lasciando evolvere per conto proprio ogni altra questione che non si inquadrasse nella cornice dei conti pubblici da rimettere in ordine.

Per Draghi si ha la stessa sensazione per qualche partita in cui sembra non giocare, quasi rubricasse tutto ciò che non è rilancio del Paese o uscita dalla pandemia come rumore di fondo da lasciare in appannaggio ai partiti che lo sostengono. In particolare, in questo momento la politica estera italiana verso i Paesi mediorientali pare non essere nei pensieri del premier pur se le cose stanno peggiorando di giorno in giorno senza che – apparentemente – venga elaborata una risposta di insieme, da perseguire con una politica estera degna di questo nome.

In materia di esportazione di materiali della difesa siamo fermi alle sortite solitarie e inappropriate di un solo ministro evidentemente più sensibile alla linea politica del suo partito che all’interesse dello Stato. Tutti coloro che a vario titolo si occupano del tema hanno suggerito di introdurre nelle norme che regolano il settore un paio di semplici provvedimenti, rimasti però lettera morta; né le critiche sollevate all’unisono dagli esperti e da chi ha a cuore le sorti della nostra industria hanno messo in moto alcun dibattito pubblico che alimentasse una riflessione sull’argomento.

Novità di questi giorni l’invito ai nostri militari a lasciare, quali ospiti ormai indesiderati, la base di Al Minhad, negli Emirati Arabi, dove siamo ormai da 19 anni e che abbiamo utilizzato come punto di ingresso per i teatri operativi dell’area con particolare riguardo a Iraq e Afghanistan. Ogni contingente in avvicendamento, ogni persona in visita od ogni mezzo militare diretti nelle aree a rischio sono transitati dalla Forward Logistic Air Base di Al Minhad. Con il tempo era diventata una nostra seconda casa, e ora dobbiamo fare i bagagli e traslocare non si sa dove, nel bel mezzo della smobilitazione dall’Afghanistan. Non male come tempismo. Senza parlare dei costi futuri delle missioni nell’area le cui dimensioni lieviteranno sensibilmente a causa di un sostegno logistico da più lunga distanza e quindi più oneroso.

E a Roma tutto tace, soprattutto nel ministero che dovrebbe distribuire le carte, a parte un lodevole tentativo di salvare il salvabile del ministro Guerini i cui esiti sono tutti da verificare e che comunque non autorizzano alcun ottimismo. Di ben altro approccio avrebbe invece bisogno il rapporto con gli Emirati, deterioratosi di improvviso e gravemente circa quindici anni fa a causa di un errore imperdonabile dell’allora Finmeccanica, che però, contrariamente a quanto accade oggi, sbagliò cercando di fare gli interessi della società. Da allora non pochi altri passi falsi sono stati compiuti, vedansi i dossier Alitalia, Piaggio, drone P.1HH e altro, tutte questioni per le quali il risentimento emiratino è da ritenere più che fondato e giustificato.

Con queste premesse, si dovevano proprio sospendere contratti di fornitura già in atto – provvedimento comunque inaccettabile – e addirittura abbandonare al proprio destino la pattuglia acrobatica emiratina rifiutando persino di effettuare la manutenzione dei loro velivoli? Anche un non addetto ai lavori capirebbe la grave incoerenza di una siffatta politica estera e si stupirebbe dello strano silenzio del capo del governo rispetto ai comportamenti dei suoi, maldestri e contrari all’interesse nazionale. Un vero peccato, perché proprio ora il presidente Draghi, grazie a sue scelte personali molto felici, potrebbe contare sull’assistenza di collaboratori a lui molto vicini che meglio di chiunque altro lo assisterebbero sul da farsi per reimpostare, come compete a lui e solo a lui, una politica estera più saggia e più coerente con gli interessi nazionali.

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