Oggi la moneta unica europea rappresenta il 20% circa delle riserve e delle transazioni internazionali. Le prime emissioni di titoli europei per il Next Generation Eu sono state accolte benissimo sulle piazze internazionali. Tanto quanto quelle del Tesoro Usa. Il commento di Giuseppe Pennisi
L’economia e la finanza internazionale sono considerate la parte meno allegra di quella che è stata chiamata da Thomas Carlyle “la triste scienza”; vengono studiate all’università nei corsi di economia, ma i pochi cultori restano nel mondo accademico e non hanno la luce dei riflettori dei loro colleghi che si occupano invece di macroeconomia, finanza pubblica, economia del lavoro e di impresa e simili.
Per questa ragione, poco si parla sulla stampa italiana di un effetto collaterale importante del Next Generation Eu: la crescita soprattutto potenziale del ruolo dell’euro nell’economia e nella finanza internazionale. Una crescita che riguarda tutti noi.
Quando trent’anni fa sono stati formulati i primi piani concreti per la nascita dell’unione monetaria europea e quando circa vent’anni fa è nata la moneta unica, uno degli obiettivi dei “Padri Fondatori” era di far sì che l’Europa disponesse di un’unità di conto, di transazione e di riserva che potesse gareggiare con quello che veniva considerato, a torto o a ragione, lo “strapotere” del dollaro Usa nell’economia e nella finanza internazionale.
Era una vecchia questione oggetto di controversia da quando nel 1944, a Bretton Woods, venne definito il dollar exchange standard, un sistema monetario a tassi di cambio o fissi o gestiti collegialmente (tramite il Fondo Monetario Internazionale-Fmi) e imperniato sul dollaro Usa, ancorato a sua volta sull’oro che il Tesoro americano si impegnava ad acquistare ad un prezzo convenzionale, anche esso stabilito collegialmente. Il sistema funzionò sino a quando gli Stati Uniti erano il Paese militarmente più forte, tecnologicamente più avanzato, finanziariamente più ricco della comunità internazionale. Già negli anni Sessanta del secolo scorso, si levavano in Europa (soprattutto in Francia) proteste secondo cui questo sistema avrebbe dato un “potere di signoraggio” eccessivo agli Stati Uniti. Il sistema crollò il Ferragosto 1970; per due anni si tentò di rappezzarlo, ma da allora è in vigore un meccanismo a cambi flessibili (nell’ambito delle regole Fmi).
Tuttavia, il dollaro Usa è rimasto al centro del sistema. Il 60% delle riserve delle banche centrali e delle transazioni commerciali e finanziarie internazionali sono denominate in dollari. Ciò fa parlare la Cina ed alcuni settori del “populismo” europeo di eccessivo potere della politica americana, tramite il dollaro, sulla finanza e sull’economia internazionale. Pechino sta tentando da anni di fare diventare la propria moneta come principale strumento di riserva e di transazione regionale nell’area del Pacifico per poi (un giorno ancora lontano) sfidare il greenback emesso dalle autorità americane, ma c’è poca fiducia nel renmimbi cinese specialmente come valuta di riserva.
Lo scorso marzo, i leader dell’Unione europea (Ue) hanno lanciato l’auspicio che un aumento del ruolo dell’euro desse all’Ue una maggiore autonomia strategica, locuzione poco chiara che in effetti rifletteva l’irritazione di diversi Stati dell’Unione di sentirsi quasi tirati per i capelli nella nuova tornata di sanzioni nei confronti dell’Iran. La geopolitica, quindi, è sempre una determinante di non poco rilievo nell’economia e nella finanza internazionale.
La forza del dollaro Usa è sempre stata quella di essere considerato l’ultima spiaggia, l’approdo più sicuro in caso di turbolenze. Ruolo a cui di renmimbi (noto per essere molto manipolato dalle autorità della Città Proibita) non può aspirare.
Può farci un pensierino l’Ue per l’euro? Oggi la moneta unica europea rappresenta il 20% circa delle riserve e delle transazioni internazionali. Le prime emissioni di titoli europei per il Next Generation Eu sono state accolte benissimo sulle piazze internazionali. Tanto quanto quelle del Tesoro Usa.
Non è la prima volta che la Commissione europea si rivolge ai mercati con sue proprie obbligazioni. Ciò è già avvenuto una dozzina di volte. Questa volta, però, sia per il Sure che, soprattutto, per il Next Generation Eu, la garanzia esplicita dei 27 Stati membri fornisce ai titoli una forza analoga a quella del dollaro Usa.
È solo l’inizio ma il buon giorno si vede dal mattino.