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Clima, il G7 non può far da sé. Occasione per il G20 italiano

È auspicabile che il G7 sia il punto di partenza per una convergenza più ampia per costruire basi concrete di cooperazione verso la decarbonizzazione. Il G20 presieduto dall’Italia può essere l’occasione. Il commento di Corrado Clini, già ministro dell’Ambiente

Il 21 maggio i ministri dell’Ambiente del G7 hanno confermato il loro impegno per dare attuazione all’Accordo di Parigi del 2015, senza indicare in dettaglio le modalità per l’attuazione di questo impegno salvo indicare la data del 2025 per l’eliminazione dei sussidi ai combustibili fossili.

Il documento afferma anche che i G7 da soli non potranno vincere la sfida dei cambiamenti climatici, ma sono richiamate in modo generico le aspettative e l’esigenza della collaborazione con le altre economie che hanno emissioni crescenti, a partire da Cina e India, o con le grandi economie non G7/Ocse a maggiori emissioni procapite, come Arabia Saudita e Russia oltre a Emirati Arabi Uniti e Qatar. Per informazione, Canada, Australia e Stati Uniti hanno emissioni procapite almeno il doppio di quelle dell’Unione europea.

Il documento segna sicuramente un passo avanti rispetto all’era Trump perché è condiviso dagli Stati Uniti, ma nello stesso tempo le 16 pagine e i 46 punti dedicati al clima avrebbero potuto offrire qualche valutazione aggiornata sui motivi che hanno impedito fino a oggi l’attuazione dell’Accordo di Parigi, a partire dagli impegni assunti dai singoli Paesi giudicati largamente insufficienti dal Rapporto delle Nazioni Unite del 26 febbraio 2021 NDC Syntesis Report”. Il rapporto mette in evidenza che, sulla base dei dati a disposizione, è prevista entro il 2030 una riduzione dello 0,7% delle emissioni rispetto al 2010, mentre le emissioni nette dovrebbero essere ridotte del 45% per raggiungere l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura di 1,5° centigradi”. I ministri del G7 riconoscono la necessità di rivedere “l’architettura” dell’accordo di Parigi, ma non offrono indicazioni.

Sarebbe stato anche utile avere indicazioni più precise sulle misure che i Sette suggeriscono di adottare entro il 2030 per muovere l’economia globale verso la decarbonizzazione. Anche perché il rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia del maggio 2021 “Net Zero by 2050. A Roadmap for the Global Energy Sector” afferma che “a partire dal 2021 non dovrebbero essere approvati progetti per l’esplorazione di nuovi giacimenti di petrolio e gas e non sono necessarie nuove miniere di carbone o estensioni di miniere”. Ovvero l’impiego di petrolio, gas e carbone deve essere considerato progressivamente marginale in tutti i settori dell’economia. E a questo proposito sarebbe stato utile avere una valutazione del programma per la decarbonizzazione dell’economia cinese, che avrà effetti significativi sul futuro delle emissioni globali.

Successivamente al meeting dei Ministri dell’Ambiente del G7, nella settimana appena trascorsa, l’Agenzia ha pubblicato tre rapporti per niente confortanti.

Oil Market Report June 2021” stima che “la domanda di prodotti petroliferi è destinata a raggiungere i livelli pre-pandemia entro la fine del 2022”, trascinata non solo dai trasporti ma anche da una forte crescita della domanda di plastica. Mentre l’estrazione di petrolio continuerà a crescere sia in Arabia Saudita e nei Paesi Opec+, sia in Stati Uniti, Canada, Brasile e Norvegia.

Gas market Report Q2 2021 stima che solo nel 2021 la domanda è destinata a crescere di oltre il 3%, sostenuta in particolare dalla crescita dei consumi in Cina, India e nelle economie emergenti dell’Asia.

Il rapporto “Financing clean energy transitions in emerging and developing economies ”, preparato in collaborazione con Banca Mondiale e World Economic Forum, segnala che senza una transizione verso l’energia pulita i Paesi in via di sviluppo e le economie emergenti di Africa, America Latina, Medio Oriente e Asia (senza la Cina ma con India e Indonesia) contribuiranno a una crescita delle emissioni di CO2 di almeno 5 miliardi di tonnellate entro i prossimi 20 anni. È stimato che per favorire la transizione energetica di queste economie sono necessari entro il 2030 investimenti per almeno un miliardo di dollari, sostenuti dalla cooperazione economica e tecnologica promossa dalle grandi economie (Cina inclusa).

Evidentemente questi dati indicano una tendenza diversa da quella auspicata da “Net Zero by 2050” e danno la misura della sfida.

Il meeting dei leader del G7, appena concluso, fornisce alcune indicazioni importanti.

L’impegno a ridurre del 50% entro il 2030 le emissioni cumulative dei Paesi del gruppo, associato alla promozione dell’economia verde, costituisce una base di lavoro comune tra Europa, Stati Uniti, Canada e Giappone per la convergenza verso un Green Deal del G7 in grado di dare una direzione all’intera economia mondiale, a partire del settore dei trasporti indicato come prioritario per l’eliminazione delle auto a combustione interna.

L’impegno a sostenere con un finanziamento di 100 miliardi $ all’anno la transizione energetica delle economie meno sviluppate ed emergenti conferma un accordo già preso nel 2009 e fino ad oggi non rispetto : un salto di qualità che risponde alle previsioni del rapporto di IEA, Banca Mondiale e World Economic Forum.

Ma, come hanno ricordato i ministri dell’Ambiente, il G7 non può fare tutto da solo.

È evidente che la sfida della decarbonizzazione ha bisogno della collaborazione con la Cina, con l’India, la Russia e almeno con l’Arabia Saudita. Ed è altrettanto evidente, come ci insegna la storia di 25 COP dal 1995, che la Cop26 avrà successo se tutte le grandi economie del pianeta saranno allineate nella stessa prospettiva e con politiche convergenti.

A questo proposito è interessante rilevare che molti delle indicazioni e degli impegni del G7 sono convergenti con i programmi già avviati dalla Cina, e con molti programmi in corso di definizione da India e Arabia Saudita in particolare.

Per esempio, l’interconnessione elettrica a lunga distanza e ad alta capacità (Global Energy Interconnection) tra i centri di produzione delle energie rinnovabili, spesso remoti, e le aree di consumo è una risposta alla domanda di crescita dei consumi elettrici senza aumentare l’impiego di olio, gas e carbone. L’iniziativa, lanciata dalla Cina, ha partner tecnologi europei importanti, tra i quali ABB e Siemens.

In questo contesto è interessante il progetto lanciato recentemente da Xlinks, un’azienda inglese, per la produzione in Marocco (nel Sahara) di 10,5 Giga Watt di energia rinnovabile da trasferire nel Regno Unito con un cavo sottomarino ad alta capacità lungo 3.800 chilometri. ACWA Power Renewable Energy Holding di Riad e il fondo cinese Silk Road Fund sono i partner di Xlinks.

Insomma è auspicabile che il G7 sia il punto di partenza per una convergenza più ampia, che faciliti il dialogo e la reciproca informazione tra le iniziative avviate dalle grandi economie per costruire basi concrete di cooperazione verso la decarbonizzazione.

Il G20 presieduto dall’Italia può essere l’occasione.


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