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Il futuro dell’Afghanistan è a rischio. E Ghani arriva da Joe Biden

Incontro a Washington tra Biden e il presidente dell’Afghanistan Ghani, dopo che l’intelligence Usa ha rivisto al ribasso le previsioni sul futuro del Paese: dopo il ritiro della Nato, potrebbe tornare in mano ai talebani nel giro di sei mesi. Si lavora per garantire la sicurezza sull’aeroporto di Kabul. Vi resteranno 650 americani, in attesa di un accordo formale con la Turchia che dovrebbe assumersi talei incarico

Il futuro dell’Afghanistan arriva alla Casa Bianca. Il presidente Joe Biden riceve oggi il collega Ashraf Ghani, accompagnato nel tour americano da Abdullah Abdullah, presidente dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale. L’incontro arriva a due giorni dalle rivelazioni del Washington Post sul nuovo report dell’Intelligence Usa, che ha rivisto al ribasso le previsioni sul futuro del Paese dopo che sarà completato il ritiro delle forze della Nato: l’Afghanistan potrebbe tornare in mano ai talebani nel giro di sei mesi.

LA DECISIONE USA

Oggi l’Associated Press riporta indiscrezioni di funzionari americani secondo cui la presenza di militari statunitensi potrebbe attestarsi a 650 unità anche dopo il completamento del ritiro, ormai giunto al termine (mancherebbero poche settimane). A inizio anno erano 3.500 i militari Usa presenti in Afghanistan, già dimezzati in scia al piano progressivo predisposto da Donald Trump. La presidenza Biden ha confermato (come promesso in campagna elettorale) la via del ritiro, posticipando però il suo completamento all’11 settembre, data simbolica, ventesimo anniversario dell’attacco che ha dato il via alla “War on terror”. A tale linea si è adattata la Nato, secondo la logica di “in together, adjust together, out together”, tanto che il contingente italiano responsabile per il quadrante ovest ha già ammainato il Tricolore sulla base di Herat. Nel complesso la missione Resolute Support contava a inizio anno l’adesione di 36 Paesi e oltre 9.500 unità (l’Italia era terzo contributore dopo Usa e Germania).

IL SUPPORTO CHE RESTERÀ

Il messaggio (trasversale ai Paesi Nato) punta a evitare la retorica dell’abbandono. Annunciato il piano di ritiro ad aprile, Biden ha spiegato che “il lavoro diplomatico ed umanitario” degli Usa continuerà anche una volta conclusa la presenza militare. È proprio la presenza diplomatica a permettere il mantenimento di una discreta componente di force protection (si parla appunto di 650 unità). “La chiusura della missione non è un abbandono”, ha spiegato ieri Lorenzo Guerini nell’informativa al Senato: “Il nostro ruolo rimarrà attivo”. Come? “Con progetti di cooperazione allo sviluppo, con il sostegno alle imprese, con il sostegno alla società civile, con la tutela dei diritti umani”, spiegava Luigi Di Maio al margine della ministeriale Nato di aprile che ha ufficializzato i piani di ritiro.

L’ADDESTRAMENTO

Anche perché bisogna preservare i risultati raggiunti. In vent’anni, ha ricordato ieri Guerini, “il nostro personale ha portato a termine progetti di cooperazione civile e militare, per un corrispettivo di oltre 46 milioni di euro, che hanno incluso la costruzione di 82 scuole, 37 strutture medico-ospedaliere, 784 pozzi e la realizzazione di più di cento chilometri di strade e di oltre 30 infrastrutture per le forze di sicurezza e le varie istituzioni afghane”.

Complessivamente sono state condotte oltre 53mila attività , “tutte di elevatissimo livello, con l’addestramento diretto o indiretto di più di ventimila militari afghani”. L’auspicio è che le forze afghane possano ora badare alla sicurezza del Paese. Su questo manca però l’ottimismo, visto l’attivismo militare dei talebani (che continua a prendere il controllo di ampie zone al nord), tanto che il summit Nato di Bruxelles della scorsa settimana ha confermato la possibilità di mantenere attività di training anche al di fuori dei confini dell’Afghanistan. A Kabul resterà inoltre l’ambasciatore Stefano Pontecorvo, alto rappresentante civile della Nato in Afghanistan.

I PIANI PER L’AEROPORTO

Di più: “Riconoscendo la sua importanza per una presenza diplomatica e internazionale duratura, nonché per la connettività dell’Afghanistan con il mondo, la Nato fornirà finanziamenti per garantire il funzionamento continuo dell’aeroporto internazionale Hamid Karzai di Kabul”. Per il suo controllo si è già candidata la Turchia. “A differenza di altri contingenti della Nato, la Turchia si è sempre mantenuta le mani libere nel Paese, infatti, concentrando le sue forze su Kabul e mettendo molta attenzione nel mantenere un ruolo defilato anche nei confronti dei talebani nelle fasi più critiche del conflitto”, ci spiegava il generale Marco Bertolini, già comandante del Coi e capo di Stato maggiore delle forze Isaf in Afghanistan. Mercoledì il generale Mark Milley, presidente del Joint Chiefs Staff americano ha spiegato che non c’è ancora un accordo scritto da Washington e Ankara per affidare ai turchi la sicurezza dell’aeroporto. Tuttavia, il generale si è detto “molto fiducioso che la sicurezza dell’aeroporto di Kabul sarà mantenuta e che i turchi ne faranno parte”. Anche da questo potrebbe ricucirsi lo strappo tra Ankara e Washington.



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