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Conte vs Grillo, chi è sovrano in casa Cinque Stelle? La bussola di Ocone

L’impressione è che, se anche l’accordo ci sarà, il matrimonio fra l’ex premier e il comico genovese sarà un matrimonio di interesse, senza quel feeling che anche in politica è necessario per dar vita a qualcosa di duraturo. È come se qualcosa si fosse rapidamente rotto fra i due protagonisti nel giro di pochi mesi, quasi che Grillo, come i contiani stessi hanno lasciato trapelare, non fosse più convinto della sua scelta. La rubrica di Corrado Ocone

Possono i grillini fare a meno di Grillo? E possono continuarsi a dire grillini quelli che invece, da un certo momento in poi, dovrebbero diventare, secondo i desiderata dell’ex premier, prima di tutto contini? È in questo doppio dilemma che si può inscrivere la tragicommedia che da quello che trapela si sta consumando in queste ore nel Movimento Cinque Stelle.

È un classico della politica, quello che si raccoglie attorno al tema della sovranità, del “chi comanda?”. Carl Schmitt diceva che è sovrano chi decide sullo e nello stato d’eccezione. La caduta del governo giallorosso e la discesa a Roma del Garante, che in quattro e quattr’otto, con argomenti discutibili (Draghi grillino?), ha imposto la sua linea progovernativa a un gruppo di ministri e sottosegretari recalcitranti; e poi la scelta di Giuseppe Conte come capo politico, nonostante si era deciso poco prima per una direzione collegiale; hanno dimostrato con fin troppa evidenza a tutti chi fosse sovrano in casa pentastellata.

Conte, da parte sua, pur verificandone la difficoltà, soprattutto economica, alla possibilità di un “partito personale” non ha mai rinunciato. E avrà pensato che, dopo tutto, questa era l’occasione migliore, anche se il brand non tira più come un tempo e le divisioni all’interno del gruppo sono forti e pronunciate. Più che queste ultime, che ha cercato di smussare col suo metodo elusivo e a parole inclusivo già ampiamente sperimentato negli anni di governo, Conte non sembra aver però fatto i conti proprio con Grillo, che al suo potere di ultima istanza, cioè alla sovranità (che ora non divide più nemmeno con i Casaleggio), non vuole certo rinunciare.

Lo strumento del contendere è diventato perciò lo Statuto nuovo di zecca che doveva essere presentato, con grande suono di fanfare, questa settimana e che invece lo sarà solo quando le parti, con i loro avvocati (e questo la dice lunga), troveranno un accordo. L’impressione è che, se anche l’accordo ci sarà, il matrimonio fra l’ex premier e il comico genovese sarà un matrimonio di interesse, senza quel feeling che anche in politica è necessario per dar vita a qualcosa di duraturo. È come se qualcosa si fosse rapidamente rotto fra i due protagonisti nel giro di pochi mesi, quasi che Grillo, come i contiani stessi hanno lasciato trapelare, non fosse più convinto della sua scelta.

Sarà per lo smarcamento dell’ex premier sulla “scelta cinese”, sarà per le questioni legate alle vicende del figlio, il Garante è come se non si fidasse più dell’uomo che ha scelto. In sottofondo, in platea, un gruppo di deputati e senatori che aspettano di sapere chi poi farà le liste, cioè metterà in atto quella sovranità che è contesa e che potrà decidere sul loro futuro in politica (che fra taglio dei parlamentari, decrescita infelice dei consensi popolari al Movimento, terzo mandato, è sempre più compromesso).

Quali i dati politici di questa vicenda? Prima di tutto, la presa d’atto della fine di quella spinta propulsiva basata su idee, per quanto discutibili, che aveva fatto grande i grillini. Uno dopo l’altro tutti i “miti fondativi” sono caduti e l’interesse spicciolo dei singoli sembra ora dominare il campo, ad un livello maggiore di quello di ogni altra Casta del presente e del passato.

Forse solo un’opposizione al governo Draghi potrebbe rigenerarla. Ma una scelta siffatta (che si dice non contrasterebbe con la volontà di Conte e dell’ala giustizialista del Movimento) potrebbe anche essere, d’altro canto, un boomerang, un ennesimo atto autodistruttivo, soprattutto se l’Italia con Draghi si rimetterà in carreggiata. Terzo punto, last but non least: in questo stato di incertezza, ad esserne penalizzato è soprattutto il Pd, che deve basarsi solo sulle proprie forze senza poter fare grossi progetti di alleanza a lungo termine con il Movimento. Che sia per Enrico Letta l’occasione per affrontare il problema dell’identità del suo Partito? O un cupio dissolvi sarà la cifra dominante anche dalle parti democratiche? E se si dovesse presto creare un vuoto nel centrosinistra, chi e come lo riempirà?

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