Inutile aspettare l’innovazione digitale, è già fra noi. Perché le strumentazioni avveniristiche di cui siamo in possesso si traducano sul campo, bisogna mettere a sistema conoscenza, mentalità e volontà di intraprendere nuovi percorsi. Intervista con Pasquale Frega, Country President e ad di Novartis
L’innovazione digitale in ambito sanitario è già realtà. Nell’indagine dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano si denota la volontà di pazienti e medici nell’utilizzo della telemedicina e dell’intelligenza artificiale. Nonostante questo desiderio, si registra un arrangiamento dell’Ssn, che ricade anche sulla sua innovazione. Il tasso di crescita annuale medio della spesa sanitaria pubblica dell’Italia negli ultimi 10 anni è dell’1,4%. Troppo poco rispetto al 5,3 e il il 4,7% di Germania e Francia. Cosa manca quindi alla traduzione pragmatica di queste necessità, fondi, strumentazioni o volontà? Ne parliamo con Pasquale Frega, Country President e ad di Novartis.
Alla luce dei dati evidenziati dall’Osservatorio innovazione digitale in sanità del Politecnico di Milano riguardanti la propensione all’utilizzo degli strumenti di telemedicina e sanità digitale, cosa si evince dalla volontà dei medici e pazienti e come si realizza in termini di investimenti sul territorio?
La pandemia ha cambiato in maniera fondamentale il volto Connected Care, la sanità digitale. Nei primissimi mesi ci si è resi conto della enorme opportunità che non era stato ancora colta per motivazioni che vanno dalla burocrazia al tema della riservatezza dei dati. Spesso pongo il quesito: “Si vuole più salute o più privacy?”. In questi tempi e durante gli ultimi mesi, quindi la propensione all’uso del digitale è aumentato in maniera significativa. I pazienti che hanno utilizzato la sanità digitale sono passati dall’ 11 al 30%. Inoltre, negli ultimi mesi, secondo l’ultima rilevazione, un 82% dichiara di voler utilizzare in futuro queste piattaforme. Anche tra i medici è esplosa la passione per il teleconsulto e il telemonitoraggio. L’81% dei medici partecipanti al sondaggio, indicano che per loro questa sia diventata una standard practice. Non hanno nessuna difficoltà a gestire in remoto le proprie task.
Dal punto di vista degli investimenti sul territorio, siamo davanti a una opportunità. Da un lato perché è in atto un ripensamento del sistema di cure extraospedaliero, portandolo sempre più sul territorio con le case di cura e ospedali a bassa intensità che saranno creati. Dall’altro, considerando l’attuale Pnrr, siamo davanti ad un doppio lavoro: struttura e tecnologia. Quest’ultima è già disponibile per attuare questa transizione. Quindi è presente il tema dell’awareness e di volontà di pazienti e medici, delle istituzioni e dei regolatori regionali per accelerare in questo ambito. Il tema chiave per fare tutto questo bene e rapidamente è quello della forte partnership pubblico-privato.
A livello teorico, al fine di corroborare gli investimenti nel Ssn e livellare le esistenti ineguaglianze, quali sono gli accorgimenti suggeriti da Novartis?
Il tema dell’apertura alla collaborazione e alla messa a sistema della capacità e conoscenza da parte del sistema pubblico, del sistema privato e di tutti gli attori della salute è un po’ la condizione di base per migliorare il sistema e livellare le ineguaglianze che oggi esistono. Dopodiché esistono tre direttrici principali che dovranno essere eseguite. La prima riguarda appunto la capillarità, per rendere efficiente la gestione delle cronicità e delle categorie più fragili. A titolo esemplificativo, menziono che oggi solo il 4% dei pazienti viene seguito a domicilio, considerando anche i pazienti fragili. Questo è un punto che va assolutamente modificato. L’assistenza deve essere sempre di più a casa del paziente, o in queste nuove case di cura che saranno create dal servizio sanitario nazionale, proprio per facilitare la capillarità.
Il secondo è digitalizzazione, ma ancora di più ambizione tecnologica. Ciò che non si è realizzato anticipatamente alla pandemia è dovuto ad una questione di volontà, di capacità del sistema di abbracciare la Connected Care. Ci vuole forte ambizione da parte di chi gestisce la salute perché i modelli di eccellenza e riferimento sono già esistenti. Bisogna quindi guardare oltre: la modernizzazione amministrativa e la semplificazione nella governance è possibile. Lo abbiamo visto negli esempi durante la pandemia. Si è dimostrato che a fronte di un grande obiettivo, le operatività si rendono più semplici. Questo però non può essere solo legato alla gestione di un’emergenza, ma deve essere anche legato a alla salute e alla capacità di dispensarla. La modernizzazione amministrativa deve essere un must da portare avanti con grande impegno.
A livello pratico, come si prefigura l’offerta messa in campo da Novartis per sopperire alle attuali lacune e come si declinano nelle diverse iniziative?
Mi vorrei soffermare sulla piattaforma WelCare, sviluppata dalla start-up milanese WelMed, che coniuga due concetti importanti quali telemedicina e intelligenza artificiale. È un primo esempio molto avanzato di come coniugare queste due tecnologie. Le prime esperienze sono state assolutamente positive al punto che, se inizialmente l’idea era nata per gestire le terapie più innovative, come le Car-T, si è visto subito l’opportunità di espandere questa soluzione a tutte le altre patologie oncologiche. Questo dimostra che quando c’è un’idea forte, la si può adottare molto rapidamente. Abbiamo bisogno di esempi come quello di WelCare per rafforzare il percorso di trasformazione digitale, ma non è l’unica iniziativa che abbiamo in serbo, ce ne sono tanti altri già a partire da settembre.
Ad ogni modo, tutti noi dobbiamo diventare più determinati sul tema dell’utilizzo dei dati, al fine riprendere le migliori decisioni in ambito sanitario. Noi in Italia siamo dei grandi accumulatori di dati, un cosiddetto Sleeping Giant. Nonostante la rilevanza di questi dati, non abbiamo ancora esempi sul loro utilizzo. Questo può e deve essere un elemento di grande cambiamento del sistema salute.
Oltre a quanto menzionato con Welcare, ci saranno altre tecnologie pivotali sulli quali Novartis baserà la necessaria innovazione?
L’uomo è andato sulla Luna nel 1969. 53 anni dopo, parlare di tecnologia e della sua disponibilità può essere definibile “Retrò”. La tecnologia c’è, l’offerta è amplissima e non da ora. Ciò che può veramente portare al cambiamento è il mindset, la mentalità e la voglia di adottare nuovi percorsi, più semplici. Le sale di attesa dove le persone rimangono due ore in attesa per una visita già prenotata, sono realtà che ancora oggi esistono e di forte anacronismo.
Chiederei al direttore di quell’ospedale che lascia i pazienti tutto il giorno in sala d’attesa, come sia possibile questa cosa, perché non ci siano modalità alternative di prenotare. Questo è sicuramente un esempio banale, però ancora una volta non è la tecnologia che manca, ma la capacità e mentalità di chi amministra la salute. Noi siamo un’azienda leader nel settore farmaceutico e uno degli attori della salute. Per questo recentemente abbiamo inserito una nuova figura interna che è quella del chief digital officer. Siamo stati i primi in Italia a farlo perché avevamo bisogno di una risorsa interna all’organizzazione che accelerasse il nostro percorso di riflessione digitale.